Salvatore Calascibetta, arrivava e vinceva
Notizie - Pubblicato il 25 Settembre 2015 - 14:42
Tratto da Sicilia Motori – Anno V – n. 10 (54) Ottobre 1986
di Giancarlo Felice
Lo scorso anno Salvatore Calascibetta ha festeggiato le nozze d’oro per la commercializzazione di ricambi d’auto, dieci anni prima aveva lasciato il mondo dell’automobilismo (soprattutto cronoscalate) dopo essere stato protagonista per ben quindici stagioni.
E’ Salvatore Calascibetta, oggi cinquantaduenne imprenditore di successo, con un fatturato annuo di buon livello, un pilota che dove arrivava per gareggiare vinceva sempre – o quasi – nella propria categoria.
Oggi Salvatore Calascibetta siede dietro un’ampia scrivania, dentro una grande stanza, ed i suoi trascorsi sono evidenti neI mobile-vetrina che affianca il tavolo da lavoro: coppe, medaglie, il vecchio casco, fanno bella mostra del passato sportivo.
RITIRO SENZA RIMPIANTI
“Ho lasciato le corse perché avevo appagato interamente le mie aspirazioni. Ho smesso nel 1975 correndo la Targa Florio a bordo di una Lancia Stratos. Quando raggiunsi gli obiettivi che mi ero prefissato è stato naturale ritirarmi, senza rimpianti, soddisfatto di quel che avevo fatto ed ottenuto”.
Il nostro “campione di ieri” , ma non tanto di ieri, per esempio, è stato tra i primi a sponsorizzare le proprie vetture. Lo faceva con marchi di Case che rappresentava; così come è stato tra i primi ad utilizzare il carrello per trainare la propria vettura da corsa.
E dire che Calascibetta, prima di approdare alla ricambistica, rappresentava prodotti che nulla avevano a che fare con l’automobilismo: per tradizione familiare lavorava con gli accessori per calzature, ma già nel sangue aveva la passione per le auto.
“Per il lavoro che svolgevo ero costretto a girare la Sicilia in lungo e in largo. Immaginate poi guidare sulle strade siciliane tra ti 1955 e 1960! Guidavo una 500 B con marmitta Abarth e ruote bicolori, macinavo giornalmente centinaia di chilometri e le asperità di quelle strade non hanno fatto altro che affinare le doti”.
SEI MESI DI CORSE
La prerogativa di Calascibetta era quella di gareggiare con vetture che solitamente riuscivano ad imporsi nettamente nella propria categoria, ma anche di tenere testa ad auto di categoria superiore. “Sono stato tra i primissimi siciliani a correre in tutta Italia. Facevo 18-22 gare l’anno”.
“Sono stato costretto a far così visto che in Sicilia praticamente non avevo più rivaili. Ed allora imbarcavo la mia 600 sul postale per Napoli e iniziavo la “spedizione’. Subito correvo l’Amalfi-Agerola, poi mi trasferivo nel Lazio per la Vermicino-Rocca di Papa, salivo in Piemonte per la Cesana-Sestriere, Cuneo-Colle della Maddalena, poi nel Veneto per la Trieste-Opicina, quindi nel Trentino per la Trento-Bondone e nelle altre regioni per la Selva-Fasano, Monopoli-Bari, Svolte di Popoli, Ascoli-Colle S. Marco, Coppa della Sila.
Tra una gara e l’altra correvo in pista a Vallelunga o a Monza. Concludevo la ‘ ‘spedizione’ , quasi sempre come primo di categoria e molte volte agganciavo l’assoluto, tanto che nel ’62 mi aggiudicai il campionato italiano della montagna”.
D: Ed allora perché non ha tentato con le vetture che esprimevano più potenza?
R: “La mia meta, chiamiamolo pure “sfizio’ ” era quella di inserirmi con piccole vetture tra quelle di cilindrata superiore. Con la 600 e la BMW 700 facevo gli assoluti della turismo dove gareggiavano le Appia, le 1100 TV, le prime 850, le 1000 Abarth. Quando passai all’Abarth con la 1000 Corsa rincorrevo le Alfa Romeo 1600 GTA. Si giocava al gatto e al topo e spesso iI topo ha soprafatto il gatto”.
D: Qual è stato il segreto dei suoi successi?
R: “Curare quanto più potevo personalmente la messa a punto della vettura. Dovendomi spostare sempre non avevo il meccanico al seguito, così imparai da me. Regolavo l’anticipo dello spinterogeno, la carburazione con le eventuali sostituzioni di getti, cicleur, freni d’aria, diffusori e se accadeva qualche cosa di più grosso si trovava un amico che avesse una buona officina’’.
I SUCCESSI DI SALVATORE CALASCIBETTA CON LA BMW
D: Il suo passaggio dalle 600 alle BMW.
R: “Nel ’62 vinsi il campionato italiano della montagna, classificandomi quindi davanti alle BMW che avevano una potenza superiore alla mia 600, la quale poteva sviluppare 42/43 CV. La serie di successi che mi portò alla conquista del titolo tricolore fu per la Casa tedesca e i suoi piloti sempre un mistero che, ad ogni corsa, avrebbe voluto chiarire sottoponendo la mia 600 a verifica tecnica. Dopo i controlli non veniva fuori nulla e loro non si davano pace. Allora mi offrirono una BMW 700 Sport soprattutto per togliersi di mezzo un avversario scomodo che dava quasi sempre 10-12 secondi’’.
D: Ed i successi continuarono.
R: “Certo. Perché alla BMW ho trasferito gli accorgimenti che adottavo nella 600. Mi diedero una vettura elaborata di Michele Scuderi nell’officina di Majolino a Palermo. Quell’anno ho fatto undici gare. Alla prima uscita mi aggiudicai la Selva-Fasano, poi corsi la Vermicino-Rocca di Papa e qui gli altri piloti BMW mi apostrofarono con questa frase: <<finalmente corriamo ad armi pari». Le presero anche lì. Su undici gare ne vinsi dieci.
L’ultima la disputai sul circuito di Monza, facendo un tempo in prova simile a quello di Arrigo Coccheti, pilota monzese in gran voga negli anni Sessanta. In gara lui era in pole position ed io ad 1/10. Uno scarto che Cocchetti non digeriva perché secondo lui significava che conoscevo meglio la pista di quanto non ne fosse padrone lui stesso. Il direttore di corsa diede Il via e arrivammo alla prima di Lesmo affiancati, nessuno voleva cedere.
Fu lui a staccare e ad accodarsi. Uscii dalla parabolica con 15 metri di vantaggio, con Cocchetti incavolato; che entrò poi nei box per ritirarsi. Il secondo giro fu quello più veloce, ma al 17° ruppi uno spinotto e vinse Paolini che avevo distaccato di quattro chilometri.
Nonostante tutto vollero verificarmi la vettura. Dopo anni ci siamo incontrati con Cocchetti e volle avere spiegato come avevo fatto a dargli 15 metri. La spiegazione era semplice. Lui entrava di 3 a stirata e poi innestava la 4a. lo entravo già di 4a e proseguivo con quella marcia che, avendo una coppia più bassa, esprimeva meglio il motore”.
1965: ANNO D’ORO DI SALVATORE CALASCIBETTA
D: L’anno d’oro, comunque, fu il 1965.
R: “Si, con l’Abarth. Vinsi la «Targa» in coppia con Virgilio nella classe 1300 con una Simos-Abarth e poi la Mille Chilometri del Nurburgring e in Francia la Mont Ventoux. Ma di «Targa», nell’albo, ho altre tre successi di categoria: nel 1963 – sempre con Virgilio – con una Alfa Zagato, nel 1969 con Enzo Ferlito a bordo di una 1000 Abarth Barchetta e nel 1971 con Paolo Monti alla guida di una Opel GT, che sbaragliò le Porsche “.
D: Perchè non è mai passato al professionismo?
R: “Negli anni in cui correvo non esisteva. Ma c’erano anche altri motivi, primo tra tutti il fatto che la mia attività non me lo avrebbe consentito, anche se passavo sei mesi a gareggiare e gli altri restanti li dedicavo all’azienda, eppoi non volevo essere soggetto alle richieste dei costruttori”.
D: Come era da pilota.
R: “Molto misurato, presente alle mie possibilità e a quelle del mezzo meccanico. Ero un pilota di resa, non certamente spettacolare”.
D: Continua a frequentare il mondo delle corse?
R. “Non più. Conosco molti piloti perché fornisco loro materiale, ma non seguo le gare. Oggi correre è profondamente diverso dai miei tempi, che non sono certamente molto lontani”.
iChiudiamo il colloquio con Salvatore Calascibetta chiedendogli un episodio “simpatico”. Risponde: “Ho saputo che un macellaio di corso Scinà ha perduto chili e chili di carne perché scommetteva contro di me. Ogni lunedì era costretto a rifornire l’altro scommettitore che mi dava vincente”.