Clemente Ravetto, pilota di se stesso
Notizie - Pubblicato il 22 Settembre 2015 - 15:27
Tratto da Sicilia Motori – Anno V – n. 4 (48) Aprile 1986
Di Giancarlo Felice
Il capostipite, Clemente Raverto, si trasferì a Palermo da Torino sul finire del primo decennio del secolo. Il figlio, Mario, fu chiamato in Sicilia nel 1924 dal genitore per dare un nuovo impulso all’azienda. Il nipote Clemente Ravetto classe 1933, è stato il primo del ”casato” a nascere a Palermo.
E che si tratti di vero e proprio casato deriva dal titolo nobiliare dei trisavoli, poi decaduti, da nonno Clemente: Conti di Quassolo , un paesino nelle vicinanze di Ivrea. Il “Nostro” si sente più vicino al nonno come personalità e carattere, ma dal padre ha preso equilibrio e freddezza. Fusione che da un lato lo ha portato ad avere la passione sportiva del nonno e dall’altro l’imprenditorialità del padre.
I Ravetto a Palermo, ma più in generale in Sicilia, si conoscono per essere stati i primi concessionari Fiat. Fu proprio Clemente senior che nel 1916 ebbe affidata dal sen. Giovanni Agnelli la rappresentanza della Casa torinese per la Sicilia Occidentale, rappresentanza che nacque in via Re Federico. La storia della famiglia Ravetto è affascinante. La racconta Clemente junior al quale dedichiamo un’ampia parte di questo servizio.
Nonno Clemente
”Mio nonno, dopo aver perduto il proprio patrimonio, ebbe la forza di ricominciare daccapo. Si trasferì a Torino da Quassolo, si rimboccò le maniche e lavorando in una fonderia cominciò a ricostruire la propria posizione. Passò a Milano, poi a Stoccarda e quindi a Parigi, lavorando presso le prime fabbriche di aeroplani.
Conseguì il brevetto di pilota e fu uno dei primi ”pazzi” a prestarsi nel collaudo degli aerei. Fin qui una storia come tante. Ma nel 1909- 1910 arriva a Parigi, Vincenzo Florio, che da Bleriot acquista un aereo, ma a patto che il costruttore gli indichi anche un pilota da assumere. Nonno Clemente si offre e con Vincenzo Florio si trasferisce a Palermo: oltre a pilotare l’aereo personale dei Florio, Vincenzo lo vuole alla guida delle proprie vetture da corsa, gli affida la direzione del parco macchine di casa Florio, lo fece gareggiare sui primi motoscafi detti “autoscafi”.
Come si vede un uomo d’azione, al quale don Vincenzo si affezionò. Ma anche per i Florio, purtroppo, la stella comincia a spegnersi. Vincenzo deve ridurre il personale e per non lasciare il nonno in mezzo alla strada lo presenta al sen. Agnelli. Questi affidò a nonno Clemente la concessione Fiat per Palermo, Agrigento e Trapani.
L’azienda cominciò ad avere subito un buon giro, ma si stabilizzò quando il nonnofece venire da Torino mio padre, fresco di laurea – conseguita a soli 21 anni – in ingegneria elettronica al Politecnico. Papà mise ordine nell’assetto amministrativo e la Revetto crebbe”.
Clemente Ravetto riferisce, ospitandoci nello studio della propria abitazione. Di fronte al suo tavolo campeggiano una quarantina di coppe in argento, brunite dal tempo, riconoscimenti dei successi ottenuti nelle centinaia di corse automobilistiche. Sul tavolo, in bella evidenza, il brevetto di pilota d’aereo, come a volere seguire le gesta del nonno, che, avendo intuito le qualità del nipote, avrebbe voluto finanziarlo nell’ attività agonistica. Ma, purtroppo, Clemente senior muore nel 1953 quando Clemente junior debutta nelle corse.
Papà Mario
“Totalmente diverso dal genitore, papà era uomo di dottrina, appassionato di cavalli e di pietre preziose, aveva tre cavalli, ma era totalmente negato per l’automobilismo. Considerava l’automobile come semplice mezzo di trasporto, solo da commercializzare.
Avversava la mia passione, non volle mai darmi il benché minimo supporto per appagarla. Al contrario del nonno, che era conosciuto in ogni dove per il suo carattere allegro, per la sua cordialità, papà era invece chiuso, di poche parole. Ma agiva: in pochissimi mesi pianificò l’azienda e la fece proseguire brillantemente.
Mi sento comunque vicino ad entrambi. Per una buona metà ho preso le migliori qualità del nonno, per l’altra buona metà i pregi di mio padre”.
La passione per le auto
Per le auto ha sempre avuto un amore sviscerato, una passione grandissima.
”Iniziò molto prima che decidessi di correre. A soli 14 anni giravo la penisola, senza un soldo in tasca, pur di assi-stere alle corse. Mi piaceva studiare la maniera di guida dei piloti del tempo e valutare le possibilità delle loro vetture. Per esempio: pur di vedere il Gran Premio d’Italia al Valentino, a Torino, mi sobbarcavo tre giorni in treno, in terza classe; per il Gran Premio di Napoli mi imbarcavo sul postale, dormendo nel camerone con altre cento persone, e, quando arrivavo al porto partenopeo mi facevo a piedi la strada sino a Posillipo; oppure perla 10 Ore di Messina partivamo in cinque su una Topolino giardinetta, pernottavamo in una stanza jolly, dormendo a turni per pagare una camera. Ma quelli erano altri tempi, vi erano altri interessi”.
Quando, dove, come
Oltre quindici anni di attività sportiva, ma è stato un pilota atipico.
“Non ho avuto grandi exploit. Per fare un paragone: ero tutto il contrario un pilota tipo Villeneuve. Sono stato troppo calcolatore, troppo rispettoso del mezzo e della persona. Mi definivo un comprimano, però sicuro, equilibrato. Uno che arrivava in piazza d’onore o al terzo posto. Questi dati caratteriali non mi consentirono di diventare professionista o quasi tale, perché in una squadra ufficiale sarei stato relegato al ruolo di rincalzo. Siccome ho sempre ferito decidere io quando, dove e come correre. Non ho voluto mai accettare di entrare in un team (la Jaguar lo avrebbe ingaggiato, ndr) perché sarebbe riduttivo essere un dipendente di secondo piano”.
Ed allora correva a … suo piacimento
“Dopo tre gare di moto con una MV tra il 1950 e 1953, debuttai a 20 anni a Kinisia, aeroporto militare di Trapani trasformato in circuito. Fu un esordio vincente: dietro la mia Fiat 1100/1103 finirono Musumeci e D’Agata, allora piloti in auge. Mi persuasi di avere qualche numero, visto che ero sceso in pista convinto di fare l’ultimo.
Fu Antonio Pucci, già affermato pilota, che si prese la briga di affinarmi. Mi insegnò finezze, stile redditizio di guida, ma soprattutto, a non essere teatrale, a guidare pulito, a trattare bene la vettura, a non fare “numeri”, cosa che, qualche volta, fece perdere corse importanti. Per il pubblico non ero certamente spettacolare, i tempi però c’erano. Ricordo ancora quando Antonio mi faceva allenare sulla statale per Termini, di notte, imponendomi di non fare fischiare le ruote, segno che infilavo la giusta traiettoria”.
La carriera
Brevemente la sua carriera.
“Nel ’54 piloto una 1100 TV. Mi aggiudico la Montepellegrino, stabilendo un record che ha resistito per parecchi anni. Nessuno mi prendeva in considerazione, ma Pucci alla vigilia andava dicendo ai piloti che li «avrei fatti nuovi». Questi rispondevano che prima avrei dovuto imparare a guidare. Il giorno successivo la vittoria fu mia. Vinsi anche la Coppa Dolomiti, fui 7° assoluto alla Targa con una Lancia 2500 GT in coppia con il marchese Arezzo. Nel ’55 corro anche su strada e giungono le prime affermazioni nel Giro di Sicilia, al Rally del Sestriere in coppia con Pucci, alla 6 Ore di Orbassano, alla Trapani – Erice, alla Coppa Nissena” .
L’epoca sport
”Quando trovavo qualche amico che me le prestava o che mi voleva come secondo. Così nel ’55 faccio il quinto asso-luto alla Targa con Pottino, a bordo di una Maserati 300S e poi un bel “muro” alla 10 Ore di Messina a due ore dalla conclusione. Dopo una sosta tra il ’58 e il ’61, nel ’62 ritorno alla Targa con una Jaguar E, nel ’64 guido una Giulia Quadrifoglio per la Sicilauto Corse, vincendo parecchie corse in salita.
La stagione migliore fu il 1965 quando comprai una Ferrati GTO, dismessa da Maranello, e vinsi il campionato italiano di velocità, aggiudicandomi la Targa in coppia con Starrabba, il Mugello e altre corse.
Vinsi la Gubbio – Mengara con una Ferrari Le Mans 3300. Nel ’68 compresi che era arrivata l’ora di smettere: un incidente alla prima di Lesmo, a Monza. Non mi ero fatto male, un piede rotto e qualche contusione, ma avevo sentito suonare il campanello”.
Ha fatto esperienze anche in Europa.
“Si. Ho corso in Francia al Mont Ventoux e alla 12 Ore di Hjeres; in Svizzera a Ollon e Villars; in Portogallo a Villareal; in Belgio a Spa e in Germania a Norimberga”.
Clemente Ravetto e l’auto
Il suo rapporto con le auto.
“È stato sempre un fortissimo legame. Sia agonisticamente, che tecnicamente, come dal punto di vista imprenditoriale. Indubbiamente l’automobile ha condizionato la mia vita. Oggi sono contento di essere fuori, rimanendo legato però al mondo delle quattro ruote per gli aspetti sportivi e tecnici. Per la verità, nel 1972, tentai, con molta ingenuità, di creare una attività di costruzione e riparazione di auto sportive, fondando a Palermo la C.R.
Autosport s.a.s., raffinata officina con attrezzature modernissime, e tanta … passione. La risposta del pubblico locale fu che dovevo lavorare gratis perché essendo appassionato avevo il dovere di fare beneficenza. Costruii un prototipo 1300 Sport che affidai a specialisti, quali Calascibetta e Merendina. Dopo due soli anni decisi di chiudere per non avere potuto incassare i frutti del mio lavoro”.
Cosa fa oggi Clemente Ravetto
“Innanzitutto ho fatto conoscenza con la mia famiglia; mia moglie, Mario, Claudio e Manfredi. Sono ancora inte-ressato nel settore auto, ma in Germania. La famiglia di mia moglie, che è tedesca, possiede una azienda che com-mercializza accessori per auto. A Palermo amministro i miei beni e studio tecnica automobilistica con l’aiuto dell’in-gegnere Ennio Ribaudo. Faccio, infine, parte del direttivo dell’AC Palermo“.
A tal proposito sappiamo che sta preparando la Targa Florio storica per gli ottant’anni della corsa. Qualche anticipazione?
“Fui incaricato lo scorso ottobre dal presidente Sansone di mettere in cantiere questa particolare edizione della Florio. Iniziai a lavorarci, ma, improvvisamente, mi ritrovai come defilato da questa organizzazione. Mi è stato detto che tutto tornerà a far capo a me nella fase operativa.
Indubbiamente si tratterà di un grosso avvenimento, con sei giorni di festeggiamenti, e ciò è appetibile a molti, sotto il profilo del prestigio. Il rimanere non coinvolto in pieno, tutto sommato potrebbe essere il non correre un certo rischio. Lei sa bene che in questa terra si può verificare che se tutto va bene è merito di altri, se tutto va male l’unico colpevole è lei … “.
Clemente Ravetto, il profilo
Clemente Ravetto oggi ha 53 anni. Al figlio Manfredi ha trasmesso la passione per le corse. Quanto prima suo figlio salirà sul kart:“Lo aiuterò, da un canto a malincuore, dall’altro con l’orgoglio del padre che rivede se stesso”
Nello studio di Clemente Ravetto si respira aria di motori. Le coppe, gli album accuratamente conservati, le medaglie, gli stemmi delle case costruttrici gli articoli dei giornali: tutto parla di un passato che se non è stato glorioso, è stato vissuto intensamente da un uomo che, per sua stessa ammissione, non si è mai considerato un leader, ma un grande appassionato e conoscitore del mondo delle corse”.