Giuseppe Tornatore, sognatore anche al volante
Le Interviste di Tripisciano - Pubblicato il 10 Dicembre 2020 - 10:15
Tornatore: la “telefonata” di Sicilia Motori
Sicilia Motori, dal numero di gennaio del 1999
di Luigi Tripisciano
Non una vettura, ovviamente, ma un proiettore. Dono ci certi padroni di casa, i fratelli Perez, elettricisti che conoscevano la sua smisurata passione per il cinema e gli affidarono un vecchio apparecchio 8 mm. per proiettare decine di filmini acquistati con i risparmi.
Ma nel frattempo amava trascorrere i pomeriggi nelle salette di proiezione dei cinema di Bagheria. E ricorda con affetto chi lo aiutò a coltivare questa sua mania. Isidoro Mancino, Mimmo Guarino, Carmelo Gagliano. Pino Puleo e soprattutto Mimmo Pintacuda, che considera il suo maestro di fotografia. Tanta precoce competenza lo portò a smontare il vecchio proiettore.
Con lo scopo di renderlo più luminoso, ma col risultato di provocare un bel corto circuito. Incerti del mestiere, che, però, non era il suo, neanche quello dell’operatore. Se non ha mai usato una cinepresa. Fantasticava, invece, e pensava a storie da trasferire nello schermo. Nel ’76, a Roma per il servizio militare, sognava il Centro sperimentale, ma il bando di concorso fu sospeso e dovette tornare nella sua Bagheria.
Senza arrendersi, però. Conseguita la maturità classica, si era iscritto a lettere moderne, ma non frequentò nè mai sostenne un esame. Cominciò, invece, a girare cortometraggi, spostandosi con la Fiat 500 del padre, ce guidava già prima della patente, o con la Panda bianca che usava nell’B0 ai tempi della RAI. Quando già aveva acquistato discreta notorietà per un documentario sul carretto. Sostituì per 6 mesi un regista-programmista in maternità. Poi ottenne qualche altro breve contratto e realizzò servizi di qualità su Sciascia, Rosi e soprattutto sul bagherese Renato Guttuso. Un lavoro tutto bagherese, se perfino il tecnico, Gioacchino Scaduto, oggi a capo della produzione della sede regionale era di Bagheria. Si fece apprezzare, ma, per sua fortuna, nessuno lo trattenne a Palermo e, tornato a Roma, iniziò la sua vera carriera, gradualmente, fino a girare nell’86 a 30 anni “Il camorrista“, dal libro di Giò Marrazzo.
“A quel tempo – ricorda – possedevo una Regata quasi nuova, che lasciai a mio padre. Per 2/3 anni non ho usato la macchina. Non solo per un problema di posteggi, ma perchè vivevo al centro e utilizzavo i mezzi pubblìci“. Oggi, invece, possiede una vecchia “126” che usa in città e una “bellissima” Saab cabrio 900 turbo. Questa la utilizza, invece, per gli spostamenti in Italia (all’estero usa sempre l’aereo) per andare a trovare gli amici in campagna, a Firenze o a Napoli.
Magari col pretesto di vedere in TV la partita dell’Italia, anche se lo sport non lo interessa. Solo tre anni fa ha assistito ad un derby Roma-Lazio, lasciandosi coinvolgere non dal gioco, ma dallo spettacolo offerto dal pubblico. E usa la Saab anche per trascorrere qualche giorno con quella famiglia che lo ha sempre assecondato. Guida per tornare a Bagheria, 2/3 volte l’anno, poco, perchè gli danno fastidio i rumori del traffico, il suono impertinente del clacson, che contessa di non usare mai.
“A Palermo – dice – perdevo le staffe. Ora, invece, leggo ai semafori o faccio qualche telefonata”. Tornatore, comunque, apprezza l’utilità dell’auto, ma confessa di trascurarla. Non la lava, non controlla le gomme, si affida ai benzinai e, in fondo, preferisce che guidino gli altri. Cosa che avviene regolarmente durante le riprese di un film. E’ l’autista della produzione a portarlo su e giù per il set. E in questi brevi viaggi dorme, compensando le ore rubate al sonno per il lavoro. “Dalla Balduina, dove abito, a Cinecittà, sono quasi 50 minuti – spiega – e cosl aggiungo circa due ore alle tre che riesco a passare nel mio letto.
E la cosa strana – aggiunge – è che dormo profondamente, ma mi sveglio di colpo appena l’autista spegne il motore. E’ ormai una abitudine”. Sonno necessario per avere idee lucide, perchè fare un film, e di livello internazionale, non è semplice. Richiede molto più di un anno, e in questo periodo di grande fatica, ci si estranea del tutto, si vive per il film e ci si confonde quasi con i personaggi. Come in un sogno. “E non può essere diversamente – afferma – perchè, scelta l’idea fra le tante che ogni giorno mi frullano per la testa, e trovato il produttore, ci si cala subito nel lavoro. Un film richiede tre fasi: la scrittura della sceneggiatura, con 10-12 ore di lavoro al giorno. Le riprese, che ne richiedono anche 16, e il montaggio. Ancora più pesante perchè a quel punto si devono rispettare i tempi di consegna. E recentemente lo sciopero dei doppiatori, durante il montaggio de “La leggenda del pianista sull’oceano”, gli ha reso la vita davvero difficile”.
Siamo stati costretti ad inseguirlo per mesi. Poi siamo riusciti ad intercettarlo, ritrovando la sua solita grande disponibilità, in questo caso per un vecchio collega di RAI col quale aveva lavorato curando la regia dei TG regionali. “Ho un buon ricordo di quel periodo – sostiene – perchè era il tempo della ricerca. Ero curioso di apprendere, di confrontarmi con idee e programmi non miei. E con mezzi che non conoscevo. Facendo di tutto, anche le regie radiofoniche. Credo che questa esperienza mi sia servita molto e in ogni caso mI divertivo”.
“Il camorrista“, quindi, il suo primo film. Poi “Nuovo cinema Paradiso“, “Stanno tutti bene“, “Una pura formalità“, “L’uomo delle stelle” e “La leggenda del pianista sull’oceano“. Con attori come Noiret, Mastroianni, Depardieu e Polanski. Film frutto delle sue sensazioni o nati per istinto, che spesso hanno qualcosa di fantastico, in apparenza fuori dalla realtà, ma in effetti ricreano spesso un’atmosfera d’altri tempi di luoghi e storie particolari.
Che avvincono e nei quali a volte ci ritroviamo per quella sua straordinaria capacità, propria di un vero artista, autodidatta dal midollo. “Ho letto tutto quello che c’era da leggere sul cinema” e quindi con uno stile tutto suo di raccontare per immagini. “Immagini – dice – che devono sempre trasmettere una emozione”.