CAPUANO Ignazio, il “ragazzino” che vinceva
Campioni di Ieri - Pubblicato il 17 Marzo 2020 - 10:15
di Giancarlo Felice – Riproduzione riservata
Capuano Ignazio da Palermo, classe 1944, qualche – se non diversi – «sfizi» se li è tolti, grazie soprattutto all’inclinazione paterna verso l’automobilismo e alle qualità possedute al volante delle varie vetture che in dieci anni di agonismo lo hanno portato ai vertici nazionali.
La passione l’ha sempre avuta. Sin da piccolo amava la meccanica e la voglia di competere era enorme. Qualunque mezzo era buono per gareggiare, la sua bicicletta era «elaborata» e lui pronto a scontrarsi con i coetanei. L’obiettivo, come al solito, arrivare primo.
Presente in diverse discipline sportive non provava piacere se al termine di improvvisate competizioni non «staccava» il primo posto. Al volante di una vettura si sedette appena ebbe compiuto i dieci anni. Provò a metterla in moto e farla camminare. «Mi ricordo che era una Fiat 1400 e nel garage ho fatto fuori decine di frecce, di quelle che fuoriuscivano manualmente dalla carrozzeria».
Dalla bicicletta passa alla moto. II «piacere» era di trascorrere diverse ore in officina per smontarla e rimontarla perché fosse pronta a salire a Monte Pellegrino nel più breve tempo possibile, ma la smania di guidare ufficialmente era la cosa a cui ambiva. I diciotto anni lo vedono patentato il giorno dopo, ma per correre deve attendere ancora un anno, in regola con le disposizioni CSAI.
Il primo regalo per Ignazio Capuano, ma il debutto è rimandato
Tutto e pronto per il debutto. Capuano Ignazio da Palermo riceve in regalo dal padre Quirino (direttore centrale del Banco di Sicilia) una 850 Coupé Scorpione. Si iscrive alle «3 Ore Notturna di Siracusa». Ma la delusione è dietro l’angolo: non arriva il telegramma della CSAI che autorizza il giovane pilota a correre.
Tutto e rimandato. L’ esordio avviene nella S. Stefano – Gambarie. Capuano si classifica terzo assoluto, correndo nella classe 1000 dove le Abarth spadroneggiano. L’impegno successivo fu in Coppa Sila. Lo classificarono secondo: «O meglio, mi fecero arrivare secondo, alle spalle di un concorrente locale che guidava una 1000 bialbero. Al termine delle due estenuanti manches la somma dei miei tempi era inferiore di un decimo di secondo a quello del vincitore, ma correndo in trasferta ho dovuto inghiottire l’amaro».
II primo anno di corsa per Capuano sarebbe dovuto essere propedeutico, ma le qualità emergono subito e si classifica sempre nei primi cinque, particolarità che consentiva di ottenere la licenza di seconda categoria, la quale dava accesso a partecipare alla mitica Targa Florio. «Una corsa che si attendeva e si preparava per un anno, un appuntamento che per qualunque cosa al mondo non si poteva perdere».
La 850 non soddisfaceva più e papà Quirino regala a Ignazio una 1000 Abarth bialbero, acquistata una settimana prima della Monte Pellegrino, addirittura per telefono, tramite Angelo Giliberti che in Sardegna aveva avuto offerta tale vettura. «Scappo in Sardegna – dice Capuano – imbarco la vettura e arrivo in tempo per le prove. Prima che salisse l’ultima vettura il mio era il miglior tempo, che fu scavalcato per un paio di secondi, da una macchina che sviluppava il doppio dei cavalli».
Nella categoria, comunque, Ignazio Capuano è sempre primo e nelle varie corse si toglie lo «sfizio»di abbassare il primato tre le mille. Ma intanto, arriva il debutto in Targa con una Simca Abarth ed in categoria è ottavo.
Un fusello bizzarro e arriva Carrera 6
Si cambia vettura. II regalo e sempre di papà. II motivo del cambiamento è legato al fatto che il fusello anteriore destro della ruota dell’ Abarth 1000 spesso fa le bizze e la ruota si stacca. La misura diventa colma quando in Coppa Sila si ripete l’inconveniente e la vettura abbatte un muretto che I’ Anas gli farà pagare.
Papa Quirino è preoccupato. Una serie di telefonate a Stoccarda ed arriva uno de cinquanta esemplari che la Porsche sforna con la sigla Carrera 6. Non e facile ottenere tale vettura perché la Casa tedesca, producendone un numero limitato, ha già destinato una decina di esemplari alla propria scuderia ufficiale, altrettanti al mercato americano e quel che rimane ai privati più affezionati.
«Figuratevi cosa avranno pensato – sottolinea – quando è arrivata a Stoccarda la richiesta che un certo Capuano Ignazio da Palermo voleva una Carrera 6. Ma grazie all’intervento di papà il miracolo avvenne, giusto in tempo perché potessi correre la Targa Florio del 1965 in coppia con Ferdinando Latteri, oggi mio cognato».
Ed a questa Targa é legato un ricordo brutto ed uno bello. Si inizia dal primo per rispettare la cronologia.
«Prove ufficiali venerdì. I primi giri – dice Capuano – dovevo farli io. Al secondo esco di strada e rischio grosso. In una discesa vicino Cerda si blocca l’acceleratore e la Carrera va lunga, esce di strada e inizia un volo di 150 metri, la considerazione che feci era quella che la mia ora era giunta.
Inaspettatamente, però si aprono gli sportelli che a mo di ali consentono al veicolo una sorta di planaggio quando la vettura atterra su un piano inclinato per proseguire la discesa sino a fermarsi in un campo di grano. L’urto mi comprime il torace, ma esco vivo dall’incidente. Si avvicina un contadino e si accerta che respiro, mentre la moglie per rianimarmi mi vuol costringere a “biviri un oviceddu”».
Nessuno crede che si fosse bloccato l’acceleratore i tecnici tedeschi presenti alla Targa per assistere le vetture ufficiali sono scettici.
La Targa più bella per Ignazio Capuano tra paura e gioia
«Recuperiamo la macchina - prosegue Capuano - e i meccanici vi lavorano ininterrottamente da venerdì pomeriggio a sabato, fin quando viene scoperta la causa dell’incidente. La colpa era di un granellino di asfalto che non faceva chiudere una valvola a farfalla. Rimosso l’ostacolo la Carrera ritorno brillante, pronta al via per la domenica. Ma gli inconvenienti non finirono.
Parte Ferdinando, al terzo giro lo rilevo e nel successivo si scarena un temporale che mette fuori uso la batteria. Arrivo ai box per il cambio e la macchina non ne vuol sapere di ripartire. Gli unici che potevano aiutarci erano i meccanici ufficiali della Porsche, ma non volevano fornirci la batteria. Trascorrono una ventina di minuti in discussione, finalmente si convincono, si monta la batteria e si riparte. L’ultimo dei dieci giri mi vede al volante, buco, cambio ruota, taglio il traguardo. Risultato: ottavi assoluti. Una targa che non dimenticherò mai».
II titolo italiano arriva nel 1966 ai danni del campione uscente, l’affermatissimo ma non più giovane «Norris». In Coppa Sila Capuano gli rifila 16 secondi, nella Trento Bondone e quinto assoluto e primo degli italiani. II «ragazzino che vince» deve, però, violare un tacito accordo con il padre, il quale non voleva che corresse in pista.
«L’ultima prova del campionato italiano era a Vallelunga ed io mi trovavo in testa alla classifica. Con papà c’era il permesso di gareggiare in salita, in pista le velocità erano più elevate e quindi le preoccupazioni aumentavano. Sapevo che avrei trasgredito quel silenzioso e accettato accordo, ma non potevo fare diversamente, ne lui me lo ha mai rimproverato in seguito. Vinsi quella gara, vinsi il titolo tricolore, ruppi una sorta di egemonia. A 22 anni avevo messo dietro titani del calibro di «Norris» e Lualdi».
Nel 1968 un altro regalo: la Carrera 10. Nel ’71 la Chevron B21 e l’anno successivo la B23. Quest’ultime due macchine In società con «Amphlcar». Ma sono vetture che non hanno soddisfatto appieno Capuano, soprattutto la Carrera 10 la messa a punto che non era quella che avrebbe voluto
Quirino Capuano, fans e manager
Nella sua vita agonistica la figura paterna ha certamente avuto un ruolo di rilievo. «Mio padre ha rappresentato tutto. Se non ci fosse stato il suo aiuto, non solo economico, non avrei potuto ottenere i risultati conseguiti. Papà non mi ha mai ostacolato, avevamo una intesa, un rapporto particolare che è difficile definire.
E vero che non mi ha mai detto di no, di contro sapevo quando desistere. E stato il mio primo tifoso e dopo i primi anni di corsa anche il mio manager»
Lei é stato definito “il ragazzino che vince”: “Quando correvo ho sempre cercato di dare il massimo di me stesso. La cosa che mi interessava era la vittoria e per ottenerla avevo stabilito una simbiosi con la vettura: rispettarla moltissimo per essere rispettato, non considerarla un mezzo meccanico ma un essere vivente.
Questo mi ha consentito di cogliere successi da giovane a fronte di piloti che erano abituati a vincere con cadenza settimanale, ma dall’ alto dei loro trenta – trentacinque anni».
II sogno di ogni pilota italiano e quello di guidare una Ferrari. Lei che ne avrebbe avuto la possibilità si rivolgeva ad altre Case. «E vero. A parte qualche gara corsa con la GTO di mio cognato ho preferito altre vetture. Ciò perche ho sempre cercato di avere cose che non fossero scontate, E poi nel ’66 la Ferrari non aveva vetture adatte ai privati per le salite, forse neppure le Porsche che ho fatto diventare macchine vincenti per le cronoscalate»
Le sue qualità lo avrebbero potuto portare al professionismo. Perché non ha tentato il salto? «Per un accordo mal scritto con papà. Sapevo che tal decisione gli avrebbe procurato dispiacere. Una proposta, comunque, mi e giunta. Assieme a Ferdinando mi trovavo a Modena perché mio cognato doveva ritirare una Dino.
Ci trovammo al bar assieme a Gardini, uomo del team americano della Ferrari il quale ad un certo punto ci propose di partecipare alla 24 ore di Le Mans con una P2 del la NART. Se fosse dipeso da me avrei subito accettato, ma fu provvidenziale il fatto che Ferdinando chiese una notte di tempo per riflettere. Valutammo tutti i pro e i contro di quella offerta e l’indomani declinammo la proposta»
C’e qualche rimpianto? «Si e proprio quello di non aver fatto il professionista. Tale scelta mi avrebbe consentito di progredire per come avrei potuto e sull’onda di questa considerazione decisi di smettere nello spazio di 24 ore».
Soddisfazioni? «A parte i successi quello di avere vissuto l’ultima era eroica dell’automobilismo. Oggi è tutto esasperato, i rapporti umani sono più freddi, meno gradevoli. Ai miei tempi la gara era il culmine di giornate passate in allegria con gli amici che ti seguivano, che erano i tuoi tifosi»,
Uno pseudonimo durato 24 ore
Ignazio Capuano, era facile conciliare lavoro e sport? «I sacrifici erano tanti. Anch’io lavoravo in banca e per essere sui tracciati avevo a disposizione da venerdì sera a domenica notte. La passione era tanta che tutto sembra normale. Oggi forse non sarebbe più così. Mi ricordo che un anno in banca c’era del malcontento perché prendevo le ferie a spezzettoni.
Per evitare che il mio nome circolasse nei giornali decisi di correre con il pseudonimo di “Ludwing von Kappen“, così avrei potuto calmare i miei superiori. Ma il tutto durò un solo giorno: a conclusione della Trapani - Erice i giornali titolavano “Vince Ludwig von Kappen, alias Ignazio Capuano”. Si capirà bene il mio disagio al rientro in agenzia».
Quello che abbiamo sintetizzato certamente e il sedicesimo di quello che lgnazio Capuano avrebbe avuto voglia di dirci. Aspetto ancora molto giovanile, solo qualche capello bianco, starebbe giornate intere a parlare di automobilismo, di motori, di fatti accadutigli, di personaggi.
II mondo delle corse non lo frequenta più, ama ormai vedere i Gran Premi di Formula 1 («ma in TV, non dal vivo») per seguire in ogni curva il suo pupillo, Senna, che lgnazio Capuano considera un gradino più su degli altri campioni. Ed in giardino, nella sua villa a Mondello, ben coperta da un telone campeggia una LotusSeven che «metto in moto una volta l’anno». E uno dei suoi giocattoli preferiti