Carrozzeria Michelotti: arte “casalinga”
La storia dei carrozzieri - Pubblicato il 28 Dicembre 2020 - 17:31
Giovanni Michelotti, ennesimo carrozziere torinese, ha già a sedici anni una naturale predisposizione per il disegno. Questa “qualità” lo fa segnalare subito ai responsabili della carrozzeria Farina (non ancora Pininfarina), gestita da Giovanni, fratello del più famoso “Pinin“, presso la quale viene assunto, nel 1937, come apprendista.
Anche lui, come tanti altri, è figlio d’arte. Ed in questo caso l’esempio paterno era destinato a rimanere indelebile nella memoria, anche a distanza di molto tempo. Il padre di Giovanni, infatti, aveva collaborato fattivamente alla costruzione di alcuni importanti componenti della famosissima “Itala“. La quale partecipò al Raid Pechino – Parigi. Roba da pionieri. E, raccogliendone l’eredità, la stessa passione “pionieristica” colpì il giovane Giovanni. Quest’ultimo, un anno dopo, era già primo disegnatore della Farina e aveva imparato tutte le fasi di lavorazione della carrozzeria. Firmando anche i primi figurini e progetti.
Una carriera con clienti non “semplici” da accontentare
Ed alla fine della carriera la lista di quei progetti fu lunghissima. I clienti erano ricchi ma non facili da accontentare. Spesso egli doveva, con estrema delicatezza, interpretare anche il loro gusto (a volte strano), proponendo, in tempi brevissimi, un figurino che configurasse al meglio i desideri del committente. Coordinando la fantasia della “fuoriserie” con la realtà dei telai effettivamente da rivestire. Un grande lavoro di pubbliche relazioni e di amabilità, con l’occhio rivolto alla razionalità e alla tecnologia. Ma il suo impegno lo portò anche ad una carriera “fulminante”. Accontentare tutti gli esigenti anche nelle richieste più assidue, gli valse la notorietà della Torino “bene”.
E poi anche fuori, in Italia e all’estero, e gli consentì di creare un proprio “stile”. A seguito di questo impegno personale e, in qualche modo mutato dalla scelta dalle difficoltà che nel frattempo la guerra aveva frapposto alla continuazione dell’attività della carrozzieri Farina, Michelotti, dopo circa dieci anni di intensa collaborazione con la vecchia carrozzeria torinese, nel 1949 decise di tentare la strada del libero professionismo.
Quindi seguì l’illustre esempio di un altro progettista autonomo. Revelli di Beaumont. Creò uno studio indipendente (Studio tecnico carrozzeria Gìovanni Michelotti che per molti anni (ben sei, per economizzare) fu ubicato nella stessa abitazione.
Michelotti e le collaborazioni di “lusso”
Lavorare in proprio e mettere in pratica liberamente le sue idee ed esprimere la sua personalità gli servì molto. I più importanti carrozzieri si disputarono da allora i suoi figurini. Allemano, Ghia, Boano, Bertone e Vignale commissionarono progetti e studi di carrozzerie, sfruttando la grande creatività di Michelotti. Ma vi fu una fitta collaborazione anche con gli stilisti e i produttori “minori” di quegli anni. Balbo, Canta, Moretti, Savio, Scioneri e Viotti. Solo per ricordare quelli più frequenti.
Il tratto di Giovanni Michelotti è un misto di eleganza e aggressività, di slancio e dinamismo, che piaceva molto e che non trascurava il “farnily feeling” di ciascuna casa committente. Sono molte le auto importanti da lui disegnate. E del resto le belle automobili le aveva nel sangue, così come la modestia, per cui la sua firma difficilmente compariva. Senza dubbio il periodo creativo più interessante dì Michelotti fu quello degli anni ’50 e 60. Nei quali, oltre a collaborare principalmente con Alfredo Vignale, disegnò quasi a getto continuo modelli per l’industria inglese, con la quale i rapporti erano stati sempre ottimi.
Per chiarire questa prolificità basta ricordare che nel 1954 al Salone di Torino ben 40 novità assolute di serie e fuoriserie esposte da svariate case automobilistiche direttamente dalle carrozzerie portano “in incognito” la firma del progettista Michelotti. Un successo. Ma forse, più di tutti, il suo nome resta legato ai successi delle splendide Ferrari realizzate, su suo disegno, da Vignale. Durante quegli anni, infatti, avviene l’incontro tra il giovane Michelotti e Alfredo Vignale, la cui abilità costruttiva crea ì presupposti di una collaborazione rivoluzionaria. Le linee ardite, volute da Michelotti, si fondevano perfettamente con la meccanica particolare della Ferrari. La quale andava emergendo tecnicamente. Dalle officine di Vignale uscirono auto quasi tutte disegnate da Michelotti. Le berlinette e le spider cominciarono a creare il mito della casa del cavallino rampante, vincendo le più importanti corse stradali degli anni 50. Quali la Mille Miglia, lo Carrera Panamericana e il Giro dì Sicilia.
Michellotti: 140 vetture progettate
Ben 140 vetture furono progettate e realizzate dal binomio che vede il nome di Michelotti già affermato, tra i pochi capaci di esprimere un disegno originale, libero dalle mode del tempo. Allora fortemente influenzate dalla produzione americana. Si può dire che la linea delle più belle Ferrari nasce da qui. La 212 “Inter”, nuova configurazione della 250 “Europa’. Questa poi fu sviluppata dalla Pininfarina con il suo basso e slanciato padiglione e il cofano allungato (che meravigliò gli stessi tecnici Ferrari per la sua bassezza, quasi non contenesse il possente 12 cilindri) e i parafanghi sporgenti e strettì. Alla cui sommità non troviamo, come sarebbe normale i fari. Questi erano infatti collocati accanto alla imponente mascherina, bordata da una cromatura vistosa. A sottolineare l’importanza.
La barchetta 250 M.M, la cui linea convenzionale è “sconvolta” dalla particolarissimo sagoma del musetto, ”tagliato” subito dopo i fari, che pergiunta sono tra i primi esempi di fari carenati. A ben vedere, la linea diversa nasconde un problema tecnico, ossia il raffreddamento dei freni anteriori, risolto in questa maniera magistralmente anche dal punto di vista stilistico. Ed ancora la splendida Ferrari 195 S dalla caratteristica mascherina tubolare, nella quale il profilo dei parafanghi si alzava in una “cresta”, dando al cofano uno stile aggressivo e potente. Tre delle Ferrari disegnate di Michelotti vinsero consecutivamente la Mille Miglia e una di esse, quella più preziosa, ex Biondetti, è stata esposta l’anno scorso dal Ferrari Club Palermo durante la 6a edizione del “Sicilia in Ferrari“.
La Ferrari Europa GT
Un’altra Ferrari importante fu l’Europa GT per la principessa Uliano di Rety (telaio 0359) caratterizzato da un parabrezza avvolgente molto diffuso durante la metà degli anni ’50. Un disegno molto interessante è stata la Ferrari 340 A.I. (America Tubolare). Il telaio era infatti della Gilco Autotelai di Milano, di cui furono costruiti tre esemplari coupè e un Roadster per partecipare nel 1952 alla Carrera Panamericana. Uno dei coupè fu guidato da Luigi Chinetti, importatore americano della casa di Modena, e si classificò terzo dietro le Mercedes di Kling e Lang. Dopo questo exploit, questa Ferrari venne soprannominato “Mexico“. Era caratterizzata da strane feritoie verticali davanti alle portiere, che avevano il compito di guidare i filetti fluidi d’aria esattamente sui freni posteriori. L’aria poi usciva da altrettante feritoie ricavate nella coda. Un esempio di decorazione funzionale. Altri clienti ferraristi vennero direttamente dall’America, tramite Luigi Chinetti.
Michelotti e gli americani
E’ significativo ricordare in episodio che dà la dimensione di quanto Michelotti fosse eclettico. Uno di questi americani commissionò al carrozziere la sua Ferrari. E fin qui niente di strano. Lo stilista esegue, come al solito, il suo bozzetto e lo sottopone al suo cliente. Ritrae assieme alla macchina, per arricchire il disegno, una bella modella elegantemente vestita. Quel distinto signore (proprietario di una catena di negozi di abbiglia.mento) non fa altro che … dimenticarsi della Ferrari e copiare invece il tailleur per venderne il modello con notevole successo nei suoi negozi! Non sappiamo se, dopo il vestito, sia stata realizzata anche la Ferrari disegnata da Michelotti. Nello stesso tempo egli progettava vetture assolutamente da sogno, creazioni originali e riuscite.
Nel 1951 una particolarissima Fiat 8V, costruita per il dott. Luino, medico personale di Vignale, denominata dantescamente “Demon Rouge”, e che oggi è perfettamente restaurata, appartiene ad un collezionista emiliano. Nel 1955 due Nardi “Nastro Azzurro”, che furono le ultime vetture del piccolo costruttore, famoso per i suoi volanti, e che adottarono telai tubolari a tubi tondi di grande sezione. La carrozzeria aveva una buono linea aeredinamica e finiture estetiche di pregio. Erano molto veloci (200 Km/h).
Il primo prototipo fu costruito per un cliente americano, che la volle con interni in pelli di cinghiale, mentre la meccanica era quella della Lancia Aurelia con 140 CV. Disegnò ancora, per la Siata, una variazione sulla Fiat 8V, denomìinata 208 S, anch’essa ancora esistente. Nel 1956 realizzò anche il prototipo della Maserati 3500 GT Spider, poi prodotta da Vignale. Nei disegni per la produzione in serie, invece, la fantasia e l’estro sembravano mitigarsi, ma non per questo diventavano banali.
Il successo che accompagnò questi modelli ne è la più chiara conferma. Forse il motivo della pacatezza di questi disegni sta nell’ambiente in cui venivano realizzati. E’ un caso strano, ma oggetti di culto, venerali dagli appassionati… e dalle loro famiglie. Vetture che sembrano nate su un “green” da golf o in un “pub”, mentre in realtà sono state progettate nel “tinello” di casa Michelotti. Proprio così.
La famosa “Daf”
La Triumph TR 4, la Spiffire MK 3, la Herald, la Vitesse, la Stag 3500, nascevano in un ambiente familiare, tra la simpatica invadenza dei suoi due bambini e gli odori della cucina dì casa! Quasi straordinario.
Nello stesso ambiente nacquero disegni di prototipi per la B.M.W. Come la Berlinetta 507 di 3200 C.C, mai realizzata in serie, e quelli per la piccola popolare 700 (l’unica vettura veramente utilitaria della casa tedesca) costruita tra il ’59 e il ’65. Così come i disegni originali per la B.M.W.1500, 1800 e 2000, anche nella versione touring. Questi diedero vita alla più prolifera famiglia di berline della casa, ancora oggi in produzione (con le dovute varianti). Anche quella che, in Italia, un pò ignominiosamente, veniva chiamata “la macchina degli handicappati” (in un periodo in cui questi problemi erano meno sentiti e capiti). Cioè la famosa Daf olandese, quella con la trasmissione automatica a cinghia, per intenderci.ù
Fu disegnata nel 1967 da Michelotti nei modelli 44, 55 e 66. Certo non bellissime. Ma è certo che il design dell’automobile deve molto a quest’uomo. E forse di più avrebbe potuto fare se avesse accettato le allettanti offerte propostegli, come ad esempio la direzione del Centro Stile Generai Motors. Ma, modestamente, decise di rimanere a Torino a occuparsi delle sue ”invenzioni”.
Michelotti si mette in proprio
E finalmente, nel 1960, fa il grande passo dotandosi di una propria officina dove costruisce modelli, prototipi e piccole serie automobilistiche sia per le aziende con cui collabora sia per sè stesso. E nella quale prende forma la prima vettura.
Nei capannoni di via Luranna realizza su telaio Fiat una 1500 con motore Osca. Non meriterebbe alcuna citazione, se non esibisse per la prima volta una delle “trovate”. In questo caso il tetto a “pagoda”, reso poi famoso dalla Mercedes. Dal suo atelier escono vetture uniche e speciali realizzate quasi per hobby, anche per un solo cliente.
Tra queste una strana Giulietta Conrero, un coupè su telaio dello specialista francese di corse in salita Budot, con motore di cilindrata ridotta a 950 CC e caratterizzata dai fari carenati e da una inconsueta apertura del cofano posteriore. Nel 1962 produce una splendida ed elegantissima fuoriserie Jaguar D type.
La “Italia” del 1959
Nello stesso anno, sull’onda dei successi commerciali, diviene lo stilista ufficiale, per oltre un decennio, della Triumph, per la quale disegna la “Dolomite“, la “Toledo” e realizza in soli 15 giorni, il prototipo, poi non prodotto, della TR 5, presentato al Salone di Ginevra del 1969. Forse la più bella Triumph da Michelotti è… napoletana.
La bellissima “Italia’ del 1959, con meccanica della TR 3 (il cui nome non avrebbe potuto essere più azzeccato). Fu infatti commissionata da una concessionaria di Napoli, disegnata a Torino e assemblata dalla Ducati a Bologna! Più italiana di così!
Era ancora una Fiat “Tigullio”, con un frontale quadrato e spigoloso e una coda filante. La bella MM 4700 GT, che altro non è se non la abbreviazione di Michelotti-Maniero (un tecnico veneto) con un motore Ford Mustang.
Le altre creazioni “italiane”
La cui linea ricorda alcuni tratti della Ghibli e della Lamborghini 400. Una Maserati 5000, la Matra Laser del 1971 ed altre Ferrari.
Una di queste è la GTB/4 N.A.R.T. (North American Racing Team) “Le Mans“, progettata nel 1975 per Chìnetti in stile “corvette” e dipinta in bianco, rosso e azzurro con i colori della bandiera americana. Un’altra auto molto “importante” gli viene commissionata da Jean Redelè, patron della Alpine.
Proprio lei, la regina dei rallies, la famosissima berlinetta Renault Alpine “Tour de France” A 110. Prima la 1100 sia cabriolet che coupè, poi la 1300 e infine la gloriosa 1600 S, vincitrice nel 1971 e nel 1973 del Campionato Mondiale.
Nel 1974 realizza una delle sue strane vetture, la “Mizar“, l’unica auto mai costruita con tutte le quattro porte ad ala di gabbiano. Un prototipo su telaio Lancia Beta presentato al Salone di Ginevra. Giovanni Michelotti scompare nel 1980 a soli 58 anni, ma lascia il figlio Edgardo a proseguire la sua attività.
L’eredità al figlio
Quest’ultimo completa i progetti impostati dal padre: la Reliant “Scimitar” e ancora alcune Ferrati per Chinetti. Una di queste ultime ha ancora una volta una storia singolare: nel 1983 il proprietario, uno sceicco arabo, porto da Michelotti una 400 nuova di zecca. Immaginate quanto sarà stato penoso… demolirla per realizzare la nuova carrozzeria, ma il lavoro (ovviamente) prosegui e nacque così lo “Meera S”, una splendida speciale che meriterebbe di stare in qualunque museo. Sapete invece che fece il “saudita”?
Dopo soli due (dico 2) mesi, si era stancato e aveva “regalato” la vettura ad un suo (fortunato) amico, che gli aveva chiesto solo di provarla. Edgardo Michelotti continua ancora oggi degnamente l’opera di suo padre e tra le vetture più recenti di sua progettazione dobbiamo ricordare la Daihatsu “Charade” del 1987 e la “Pura” su Alfa Romeo, oltre a molti prodotti di industriali di design. Ha anche costituito il Registro storico che cura la gestione e la conservazione dei oltre 1000 progetti firmati dalla matita di questo grande del design, effettivamente prodotte in almeno un esemplare, e del più di 10.000 (sì, proprio diecimila) progetti rimasti sulla carta allo stadio di figurino. Anche così si tiene in vita una grande firmna dello ancora più grande tradizione della carrozzeria italiana.