Giugiaro: dall’auto e alla carrozzeria ai… maccheroni!
La storia dei carrozzieri - Pubblicato il 22 Agosto 2020 - 10:15
Tratto da Sicilia Motori – Anno XII n. 4 (141) Aprile 1993
di Francesco Ragusa – Riproduzione riservata
Se il destino ha un ruolo a volte incerto nella vita di tutti noi, quello di “Giorgetto” Giugiaro deve essere stato senza tentennamenti di sorta se, a soli 17 anni entrò -chiamato nientemeno che dall’ingegnere Dante Giocosa in persona, Colpito dalle “caricature” di automobili che il giovane Giorgio eseguiva per “gioco” – nello staff del Centro Stile Fiat.
Giugiaro: la storia
Nato a Garessio, in provincia di Cuneo. In quella terra che come abbiamo visto ha forgiato la gran parte dei carrozzieri. Egli è oggi considerato uno dei migliori designers a livello mondiaLe, con tanto di laurea “honoris causa” al prestigioso Royal College Of Arts di Londra. Approdò al mestiere di designer piu per caso che per scelta, tradendo anche tradizioni familiari. Alla scuola Fiat si formò per quattro anni, dal settembre 1955 al 1959.
Era stato assegnato all’ufficio studi stilistici vetture speciali, di cui era responsabile Fabio Luigi Rapi, autore della Fiat 1100/103 T.V. Fu un periodo nel quale emerse solo come “visualizzatore”, arte per la quale aveva una naturale predisr,osizione (era infatti “figlio d’arte ‘: suo padre Mario e prima ancora suo nonno Luigi erano stati ottimi pittori, decoratori e affrescatori di chiese e ville patrizie) ma anche quattro anni difficili: l’ambiente Fiat era troppo rigido e rigoroso per il giovane Giugiaro.
La grande occasione arriva nel dicembre 1959 al Salone di Torino, con l’incontro di Nuccio Bertene, l’unico ad avere creato una “scuola” di grandi designers. Giugiaro “confida” a Bertene la sua insoddisfazione nel rapporto con la Fiat, e Nuccio, fresco ‘orfano” di Franco Scaglione, ne approfitta subito.
L’ingresso di Giugiaro nella Bertene
Neppure un mese dopo, a 21 anni, Giugiaro entra alla Bertene. In un’atmosfera diversa ebbe grande facilità nel trovare soluzioni, e la prima vettura che disegnò, l’Alfa Romeo 2000 Sprint, è divenuta un classico. I sei anni passati alla Bertene sono fondamentali per la sua formazione di designer, e auto tra le più belle di quel periodo sono frutto di questa maturazione, oltre a costituire, insieme alla bellezza e alla riuscita del modello, anche una parte della storia Bertene.
Una macchina di Giugiaro che ha fatto sensazione è stata la “Testudo” su base Chevrolet, una dream car “fortissima”, della cui rocambolesca storia ci siamo già occupati, parlando di Bertene. Nuove e di successo furono anche la “Grifo” e la Bizzarrini GT 5300 “Strada”: il telaio della Milano, esattamente il modello grifo A3L, costruito in 412 esemplari, fece da base per la versione su telaio corto, prodotta da Giotto Bizzarrini, appunto la 5300 GT.
La presentazione al Salone di Torino
Ambedue furono presentate al Salone di Torino del 1963, dove la “futura” Bizzarrini era chiamata A3C “coupè competizione”. Nel 1964 questa vettura, dotata di una leggera carrozzeria in alluminio e di fari carenati, partecipò alla 24 ore di Le Mans, concludendo in 14a posizione. Ne furono successivamente realizzati non più di 150 esemplari, dotati di finiture lussuose e di cui occorre ricordare una curiosità: tutta la produzione, pur marcata “Bertone”, fu interamente costruita presso la Bbm di Modena, una delle tante, piccole e sconosciute carrozzerie di questa città.
La Ferrari 250 GT del 1962
Va inoltre ricordata quella splendida Ferrari 250 GT del 1962, esemplare unico usato personalmente da Bertene, di uno stupendo colore blu, con un musetto che riprendeva la linea appuntita della F.l di quel tempo, portata in gara da Baghetti. Ma già alla Bertone maturano per Giugiaro i presupposti per quella che sarà la sua carriera futura: disegnare cioè auto per la produzione. Le positive esperienze accumulate vennero utilizzate quando l’Alfa Romeo commissionò a Bertone la realizzazione della nuova coupè Giulia, e così com’era avvenuto dieci anni prima per la Giulietta Sprint, si puntò tutto su soluzioni estetiche moderne e originali, ispirate in parte alla 2000 coupè del 1960. Ne venne fuori una armoniosa vettura 2+2 e il tocco magico capace di fare dell’Alfa
Romeo Giulia Sprint GT una vettura irripetibile e venuto da Giorgetto Giugiaro, il suo primo vero capolavoro”. La Giulia Sprint GT, che gli appassionati oggi riconoscono con il nomignofo di “scalino”, per quella finta presa d’aria sul cofano, era una vettura compatta, sobria ed elegante, di dimensioni gradevoli, a cui è difficile muovere qualche appunto: questa raffinatezza di disegno ha fatto si che, pur modificata nella cilindrata e nelle destinazioni, i suoi parametri fondamentali non vennero modificati, nelle versioni successive, neppure nelle famose versioni da corsa, le G.T.A. Ne furono costruiti oltre 21.000 esemplari, ma oggi è considerata una vettura abbastanza rara, anche se ancora attualissima. Ed è passato già un quarto di secolo!
La Fiat 850
Altro esempio di questa vena felice, furono i disegni per la realizzazione della più piccola spider costruita dalla Fiat, quella 850, derivata dalla massiccia berlina, che avrebbe entusiasmato negli anni ’60 schiere di giovani signore e figli di papà, a caccia di “status symbol” a basso prezzo. La linea della vettura fece sensazione per l’aerodinamica e la pulizia del disegno, caratterizzato da un modernissimo frontale con fari carenati e parabola arretrata, privo di presa d’aria, che ricorda la bella “Testudo” del 1963: altri particolari non inediti fanno tornare in mente gli studi del 2000-2600 Alfa Romeo, la coda è piatta e tronca, la fiancata è sgombra da listelli e modanature cromate.
L’incarico di Giugiaro alla Ghia
La “piccola scoperta” fin dal 2 marzo 1965 (giorno della presentazione al Salone di Torino) sale alla ribalta, e da allora e fino al 1972 raggiunge un successo al di là delle previsioni; sono infatti ben 130.000 le unità vendute. Da Bertone rimase fino al 1965; in quell’anno Giugiaro lascia il carrozziere di Grugliasco per un nuovo e più importante incarico: diviene infatti responsabile dell’ufficio tecnico della Ghia. Bertone lo sostituirà con l’altrettanto bravo ed eclettico Marcello Gandini e si avvierà verso i successi della Miura e della Stratos. Nei tre anni passati alla Ghia, Giugiaro firma altrettanti capolavori.
Nello stand Ghia al Salone di Torino del 1966 sono riuniti ben tre modelli degni di ammirazione, escludendo la “Vanessa”, una fatua vettura per sole donne: c’era la De Tomaso “Pam-siluri di Giugiaro”, due modelli destinati a divenire dei classici: la maserati “Ghibli” e la De Tornaso “Mangusta”. La storia di quest’ultima vettura è legata alle sorti di un’altra De Tomaso, la bella 5.000 Sport, nata per correre il Campionato Mondiale Sport, ma che non fu mai sperimentata in corsa ed era finita in fondo a qualche magazzino.
Il prototipo Mangusta
Qualche tempo prima del Salone, venne purtroppo smantellata ed il telaio (a trave centrale, di sezione rettangolare), fu riutilizzato proprio per il prototipo della “Mangusta” di Giugiaro, presentata al Salone e la cui produzione era stata ipotizzata in 50 vetture, tutte a motore anteriore, più” stradale” e logico per una vettura che pur potentissima era senz’altro meno artigianale della spider 5 litri competizione.
Giugiaro fu stimolato a creare per il prototipo un design aggressivo, adeguato alle notevoli prestazioni del veicolo, ma che, questa volta, doveva vestire una vera Gran Turismo. La differenza tra le due carreggiate, stimola un disegno a delta, con una fiancata molto convessa; i tagli delle aperture del padilione sono realizzati come su un ‘cock pit” d’aereo, il parabrezza è inclinato di 73 gradi, ma ciò che suscita grande stupore è l’apertura ad “ali di gabbiano” del cofano motore, una vera trovata! Ne furono realizzati circa 400 esemplari.
La maserati Ghibli
La Maserati Ghibli era una berlinetta sportiva di linea purissima, disegnata di getto; senza ripensamenti o modifiche degni di essere menzionati. La completa realizzazione di questo coupè è stata portata a termine nel breve spazio di tre mesi.
Fu una delle automobili più eleganti di tutti i tempi, capolavoro di Giugiaro. Dotata di un’ammirevole coerenza tra i volumi anteriore e posteriore, con la calandra che incornicia la presa d’aria e fa da paraurti, con il cofano spiovente che raccorda le superfici delle fiancate il cui profifo è appena mosso da una leggera scalfatura, è di una sobrietà che non fa sospettare il telaio tubolare, i 300 cavalli e i 4700 cc. del suo potente motore.
La commessa era persoletrequattrocento vetture: ne vennero costruiti invece ben 1666 esemplari di cui 125 spider; un bel successo commerciale, nonostante i quasi 8 milioni necessari per acquistarla! Ed è ancora oggi una vettura per buongustai. Durante il periodo della sua permanenza alla Ghia, come responsabile dell’ufficio stile, Giugiaro realizzò diversi prototipi, dei quali alcuni rimasero tali, altri entrarono in produzione: tra quelli senza seguito, merita la segnalazione quella per la versione stradale della Serenissima del conte Volpi di Misurata, e quello per Carro! Shelby, proprietario della Cobra, per una macchina molto sportiva i cui figurini somigliano molto alla Miura.
L’automobile a pedali di Giugiaro
Una testimonianza della grande passione di Giugiaro per il disegno dell’auto? Che ne dite di un progetto per un’automobile a pedali? Giuriamo che non ce la siamo inventata: si trattò del disegno, con tanto di modello in scala (realizzato in Epowood), non sappiamo se provato … alla galleria del vento, di un’automobilina giocattolo, la Moped. Ed invece una dimostrazione della “chiaroveggenza” di Giugiaro?
Lo studio di una vetturetta da città, la “Rowan” del 1967, a propulsione elettrica, la cui forma ricorda le monovolume di oqgi: bastano 25 anni di anticipo! Ma alla Ghia per Giugiaro maturano anche interessanti novità che ne avrebbero cambiato la vita.
Un giapponese, Hideyuki Miyakawa si interessò ad un prototipo Isuzu e propose a Giugiaro un contratto di consulenza. Nel 1967 venne alla luce, presentata al Salone di Ginevra la Isuzu 117 “Bellet” coupè, con una linea pulita che ricordava la !so Grifo, che piacque al costruttore giapponese tanto da deciderne la costruzione in piccola serie. Risultato? 90.000 esemplari frodotti! Questo successo e 1 amicizia di Miyakawa consentirono a Giugiaro di mettersi in proprio e di fondare la sua Italdesign.
La conclusione del rapporto con Ghia
Nel 1969 Giorgio Giugiaro conclude il suo rapporto di consulenza con la Ghia, a seguito dell’acquisto da parte di Alejandro De Tomaso della Carrozzeria Ghia, e delle non facili condizioni di lavoro che a seguito di ciò si verificarono.
Si mette allora in proprio, fondando assieme ad altri tre soci (Aldo Mantovani, Luciano Bosio e Gino Boaretti) la S.I.R.P. (Studio industriale realizzazione prototipi) poi trasformata in Italstyling, e infine nell’attuale Italdesign, che si occupa sia dell’approntamento di “show-car”, sia dello sviluppo di progetti di vetture di serie.
Appena nata ha la possibilità di dimostrare le sue capacità; la prima vettura dell’Italdesign fu esposta al Salone di Torino di quell’anno: si trattò ovviamente di un prototipo destinato ad attirare l’attenzione sulla nuova azienda, insomma una dreamcar dal design totale in cui il talento creativo di Giugiaro ebbe campo libero: la Bizzarrini “Manta”.
L’Alfa Romeo Iguana e altri prototipi
A questo stesso filone appartengono, tra l’altro, alcuni tra i più bei prototipi di quegli anni, quali l’Alfa Romeo “Iguana” con meccanica 33 2 litri, e l’Abarth 1600 del 1969, la VW Porsche “Tapiro” con meccanica 914/6 del 1970, la “Cheetah” su meccanica Volkswagen, l’Alfasud “Caimano” e la Lotus Esprit del 1971, la splendida Maserati “Boomerang” del 1972, un coupè avveniristico caratterizzato da un profilo a cuneo in cui il frontale è raccordato al padiglione da un unico piano che fa sia da cofano, che da parabrezza, l’Audi “Asso di Picche” del 1973. Ed ancora le più recenti “Asgard” space-wagon, “Aspid”, l’Audi “Aztec”, la Seat “Proto T”.
Alla categoria delle auto di serie, l’ Alfasud, le Masera ti “Bora”, prima Maserati a motore centrale di serie, con telaio a scocca portante, costruita in 497 esemplari, e “Merak” sia 3000 (di cui furono costruiti 1691 pezzi) che 2000 (la cui produzione si fermò a quota 205), la splendida Bmw Ml del 1978, la De Lorean DMC 12 del 1981 (la vettura del film “Ritorno al futuro”, tutta in acciaio) l’ Alfetta G.T., le Volkswagen Passat, Golf e Scirocco, la Panda e tante altre più recenti.
La Italdesign
La Italdesign ha disegnato più di cento progetti tra modelli di produzione e prototipi di ricerca, ma ha intrapreso una strada diversa rispetto a Bertone e Pininfarina. Ha preferito infatti dedicarsi alla progettazione pura della forma, della struttura delle attrezzature e delle metodologie di lavorazione, confezionando quindi, sulla carta, un prodotto finito da cedere alla grande industria, senza imbarcarsi in avventure produttive, se si escludono i prototipi, spesso anche marcianti. Questa continua ricerca tra progettazione e sviluppo fa della Italdesign una struttura flessibile che passa dall’automobile ai … maccheroni (mangiare per credere!), dalle calzature alle camicie, dalle barche alle cravatte, perfino ai jukebox! Una vera miniera inesauribile di creatività.
C’è ancora un Giugiaro imprevedibile?