SCUDERI Michele, la moto nel sangue
Campioni di Ieri - Pubblicato il 09 Giugno 2020 - 14:38
Di Giancarlo Felice – Riproduzione riservata
Oggi il suo ”regno” è un ampio scantinato in un grande palazzo palermitano che fa angolo con via Sicilia e via Brigata Verona. Negli scivoli sono sistemate auto da riparare o vetture da corse che attendono di cimentarsi. Dentro l’officina altre macchine di grossa cilindrata (una Rolls Royce e una Jaguar), sui ponti auto “normali” in riparazione.
La conduzione di questa azienda è familiare. Vi lavorano Michelangelo Scuderi, il figlio Achille ed il nipote Michlangelo jr. , come a volere mostrare che, di generazione in generazione, continua la passione per i motori. Ad onor del vero “u zu Michele”, ormai, ha ceduto un po’ le redini al figlio Achille, ma tiene saldamente per sé la consulenza, offre esperienza, consiglia il ”fai questo al posto di quello” perché così il motore andrà meglio.
In camice azzurro, il nostro “Campione di Ieri” lo troviamo seduto su una vettura, mentre controlla il rombo del motore. Rubiamo, quindi, a Michele Scuderi, un’abbondante oretta per farci raccontare i suoi 74 anni, più precisamente gli anni a cavallo tra il 1930 e il 1955, periodo in cui si è cimentato sulle due ruote, non disdegnando qualche ottima apparizione sulle quattro ruote.
L’inizio in bici di Michele Scuderi
”I miei trascorsi sono effettivamente – esordisce Michele Scuderi – sulle moto, alle quali arrivai dopo aver corso parecchio in bicicletta, vincendo pure diverse gare in pista ed una Montecuccio – Montelepre – Partinico – Monreale. Poi cominciai a frequentare l’officina di Nené Cutrano in via Stabile, angolo via Carella. Qui la mia passione per le moto esplose. Le conoscevo nei minimi particolari e sapevo cosa ognuna era in grado di poter fornire. Mi cimentai nella prima gara a 18 anni alla guida di una DKW con compressore.
Allora si correva all’interno del Parco della Favorita, grazie a Vincenzo Florio che aveva realizzato un circuito di 800 metri, proprio dove oggi c’è il maneggio sotto sequestro. Per i giovani di allora quella pista era uno sfogo, un luogo dove tra l’altro si imparava a guidare una moto. Piano piano comincia a vincere altre gare: la Montepellegrino, la Catania – Etna, la cosiddetta cravatta di Enna, a Carini.
Furono gare che attirarono l’attenzione dei federali palermitani, i quali mi segnalarono a Roma e dopo una dura selezione potei far parte del drappello dei giovani fascisti che rappresentarono l’Italia all’estero nelle gare motociclistiche. Ho gareggiato in Spagna, in Germania, in Gran Bretagna nel Tourist Trophy (1932) dove giunsi secondo.”
Nell’officina, accanto all’ufficietto, campeggia una rarità: una Velo KTT 350 cc., targata PA 27, comprata da Michelangelo Scuderi nel 1930 per la “iperbolica” cifra di 12.500 lire. Una rarità che funziona ancora dopo ben 46 anni. Il segreto? È tenuta alla perfezione e mette in moto al primo colpo per portare ora a passeggio il suo proprietario.
“Nel ’39 e l’anno successivo – ricorda ancora – vinsi due Targa Florio su una Sertum 250. Il circuito era sempre quello della Favorita. Si cominciava a gareggiare dalle 8 alle 12 per riprendere dalle 16 sino alla mezzanotte. Gare estenuanti che costavano, oltreché fatica, anche denaro per lo sciupio dei mezzi, ma soprattutto delle gomme.
Per risparmiare avevamo escogitato il sistema di voltare i pneumatici. In pratica dopo una corsa la spalla di sinistra della gomma era consumata perché il senso del circuito era quello. Per utilizzare le stesse gomme nella gara successiva si «voltavano» i copertoni. Ma bisogna pure dire grazie a Vincenzo Florio, il quale comprendendo i nostri sacrifici, ci incoraggiava rimborsandoci alcune spese”.
Le gare per il “regime”
Il suo momento migliore, quello più vincente, è stato sotto il ventennio, certamente aiutato dal partito. Rimpianti?
“Certo. Non di carattere sportivo, ma sociale. Oggi viviamo in democrazia, ma come ci fa vivere questa democrazia?
Nostalgia: certamente, un poco. Molte cose odierne Michele Scuderi non le approva perché dice “l’istituzione è molto più rilassata rispetto a qualche decennio orsono. Fa poco o nulla, per esempio, per venire incontro ai giovani”.
”Oggi chi possiede una moto – sotiene il veterano delle due ruote – non ha come sfogarsi. Non c’è un posto a Palermo per gareggiare ed allora la nostra gioventù si sfoga pericolosamente sulla strada dove certamente non impara a portare correttamente questi bestioni. Ai nostri tempi si andava nel circuito della Favorita e lì imparavamo. Si imparava gradualmente, crescendo di cilindrata a poco a poco.
Oggi, invece, i nostri nipoti se non hanno quantomeno un 400 sotto le gambe, si sentono «menomati». Ma parte della colpa è anche dei padri, i quali pur di accontentare i figli, farebbero qualsiasi cosa e non sanno che un 48 cc, elaborato può raggiungere una velocità di 120 km/h “.
Michele Scuderi, costruttore
Lei è stato capace di classificarsi con una moto, costruita da lei, che era un cocktail di marche.
“In una gara del dopoguerra a Reggio Calabria, sul lungomare, scesi in pista con una moto che montava telaio e alberov a camme della Condor, testata e cilindro di un motocarro furgone e il carter della Guzzi V. Mi classificai al terzo posto, alle spalle del piacentino Cavacciuti e di un romano, del quale non ricordo il cognome, che guidavano due moto ufficiali. La soddisfazione per me fu tanta: la mia «americana» praticamente aveva vinto ”.
Che tipo di guida attuava?
“All’inglese. Mi inclinavo cioè con la moto, raggiungendo con essa un angolo a 45 gradi. Qualche anno più tardi iniziammo a sporgere la gamba fuori dalla noto, cosa che ancor oggi mettono in pratica i piloti per chiudere meglio le curve”.
Quali erano i suoi avversari più ostici?
“A Palermo Franco De Simone, Mario Gambino e il compianto Pippo Tabascio, a livello nazionale i fratelli Pietro e Mario Gherzi, il campione italiano Aldrighetti e Cavacciuti”.
Auto, secondo amore di Michele Scuderi
L’amore per la bici e per la moto lo ha completato con quello per le auto.
“Non è la stessa passione che ho nutrito per le moto, ma ho gareggiato anche in auto, vincendo la classe in un Giro di Sicilia con una 1100 E. Sulle macchine mi piace lavorarvi. Ricordo quando sulle BMW 700 di Calascibetta adottavano piccoli accorgimenti che lo facevano vincere addirittura dinanzi a piloti che correvano in classi superiori”.
Quali erano le marche delle moto nei tempi in cui correva?
“Le inglesi Velo 7, Norton, Aies e BSA, la belga Sarolea, la tedesca NSU, le italiane Guzzi e Albatros. Ma la migliore rimane la Rondine che Benito Mussolini fece progettare all’ing. Piero Taruffi. Una quattro cilindri ad aria che debuttò vittoriosamente a Tripoli alla guida dello stesso progettista, il quale precedette Amilcare Rossetti alla guida di un ‘altra Rondine. Mussolini volle una moto che si imponesse all’attenzione internazionale e Taruffi la costruì. Quello stesso telaio e motore successivamente si chiamò Gilera e poi MV Augusta“.
Michele Scuderi era il beniamino delle folle, ma anche di Vincenzo Florio. Elegante nella conduzione della moto, sfoggiava un casco inglese, il TT, che lo contraddistingueva dagli altri piloti.
A proposito di caschi, l’obbligatorietà come la vede?
”È certamente una buona cosa, ma la legge è troppo rigida ed in molti casi chi è preposto non la fa rispettare. È troppo rigida in quanto il casco è obbligatorio anche dentro la città dove esiste una velocità obbligatoria massima che, se osservata, anche se si cade, non produce effetti mortali. Da quando è entrata in vigore la legge poi molti motociclisti usano portare ti casco non in testa, ma all’avambraccio. E nessuna li contravvenziona. Se la legge esiste bisogna farla rispettare. A questo punto sarebbe meglio correggerla, o meglio migliorarla. In città senza casco, fuori obbligo ad indossarlo. Credetemi che in estate portare ti casco è veramente un supplizio!”.
Gli europei, i migliori
Che differenza passa tra le moto di ieri e quelle di oggi?
“Meccanicamente nessuna. Piccoli accorgimenti e basta. Sul piano del peso, invece, moltissima: oggi le leghe sono ultraleggere, più perfezionate, più raffinate, la moto quindi si presenta più elegante. I giapponesi poi hanno copiato le moto europee ed hanno invaso il mercato, ma rimaniamo sempre i migliori”.
Qual è oggi il suo rapporto con le moto?
”Quello solo di farci ogni tanto qualche passeggiata. Mi verrebbe voglia di aprire la manetta del gas, ma penso che non ho più l’età. Perché per guidare un «bestione» bisogna essere allenati fisicamente e soprattutto avere i riflessi prontissimi. Che senso ha vedere i giovani tirare la frizione e dare gas, per impennarsi? Pochissimi sanno fare questo «numero» senza che accada nulla, moltissimi invece lo fanno ma prima o dopo cadranno, senza avere imparato a governare il mezzo. Il segreto nelle cadute sta nel gettarsi e non seguire la moto. I danni saranno sempre inferiori”.
Se dovesse “aggettivare” i suoi compagni di allora.
“Spericolati: Ciccio De Simone e Valerio Campione. Sfortunato: Aurelio Sanzo. Fortunato: io, Michele Scuderi. Calcolatore: Pino Aiello. Audace: Nino Corona. Incompetente: ve ne era uno, ma non ricordo il cognome, che vuole … l’età”.
L’intervista finisce, Michele Scuderi non si sente in giornata. Ci sono giorni in cui i ricordi sono perfettamente nitidi, altri meno. L’esperienza di sette anni e 12 giorni, impegnato nella seconda guerra mondiale, lo tormentano ancora oggi. Girò tutti i fronti, finì prigioniero a Berlino. Al rientro l’unica cosa che rimaneva ancora viva era la passione per i motori.