PUCCI Antonio, la sua vita è la storia delle corse siciliane
Campioni di Ieri - Pubblicato il 03 Giugno 2020 - 10:00
di Dario Pennica – Riproduzione riservata
Occhi neri, capelli neri, baffi neri, un caratteraccio. Va forte se continua a volerlo fare ce ne farà vedere delle belle… “. Enzo Ferrari lo ricorda così; lo chiama “neger” (negro) e nel 1955 gli offre pure una sua automobile per correre in qualche gara. E’ breve amore, però, e il “Barone neger” si sente più a suo agio con quelli della Porsche. A Stoccarda, in breve, diviene uno di casa. Ha vinto una sola “Targa Florio” ma divide con Nino Vaccarella (tre volte primo e più volte protagonista) l’identificazione con la corsa di Florio. Capital in un suo servizio lo ha definito “l’ultimo Gattopardo”; lo conoscono dappertutto come il “Barone” .
E di nobile ha anche l’aspetto, non ha perso un filo del tratto e del sorriso che dovevano avere i “ragazzi” di Florio. Ha tante storie da raccontare, vi mette enfasi, forse a volte esagera ma può permettersi anche questo: quel fondo di verità è tale da essere invidiato. Se non lo si conosce incute grande rispetto, a veder tanta simpatia, finisce di conquistarti quando ti dice che puoi chiamarlo semplicemente “Zio Antonio”.
Così è nel mondo che più gli piace. Antonio Pucci di Benisichi ha scritto la sua storia in parallelo con quella dell’automobilismo sportivo in Sicilia; dal dopoguerra è stato fra gli ispiratori di tutta l’attività è forse l’unica vanteria che ama sottolineare senza però mancare di precisare che lui è stato un ”pioniere” insieme a Bordonaro, Lanza, La Motta, Cammarata, Musumeci, Albanese.
Gli chiedi di raccontarti la sua vita e si emoziona; incrina la voce e poi sembra non essere più là ma tornato veramente in quei tempi; parla con lo sguardo nel vuoto, evoca figure e quando ti sembra che sia un anziano signore pieno solo di ricordi ti stronca il pensiero, riportandoti bruscamente al presente con lucide analisi e nessun odioso paragone.
Antonio Pucci, chi è…
Palermitano, è nato il 29 agosto del 1923 quando si erano spenti gli echi della prima guerra mondiale. ‘Per mia fortuna – rammenta – appartenevo ad una agiata famiglia di possidenti agricoli, vivevamo d’inverno a Palermo, mentre nei periodi delle “raccolte” le Madonie e Pietraperzia divenivano la nostra sede: crebbi senza particolari problemi; le automobili entrarono nella mia vita tramite mio padre, grande amico di Vincenzo Florio.
Maturai a fianco di questo uomo affascinante, in via Catania a Palermo all’Automobile Club Sicilia andavo più volentieri che a scuola. Divenne dunque un fatto normale iniziare a gareggiare. Purtroppo il secondo conflitto mondiale mi costrinse ad attendere molto tempo”. ‘’Non ho un ricordo preciso – risponde ad una precisa domanda – su quando iniziai veramente il mio rapporto con le corse: dal ’36, ragazzino, non persi una edizione del “Giro di Sicilia“, della “Targa” vivendo da vicino tutte le emozioni.
Eppure nonostante questi qualificati contatti Antonio Pucci ed i suoi amici non ebbero mai la presunzione di considerarsi eredi di qualcosa ma solo autorizzati a proseguire l’opera di Don Vincenzo. “Florio lo ricordo come un gran simpaticone, un uomo senza peli sulla lingua che amava tutti gli sport (organizzò anche due Targhe Florio motociclistiche), fondò la Primavera Siciliana per incrementare il turismo cogliendo l’opportunità delle corse.
E sceglieva il mese più bello per le Madonie: maggio. Ricordo ancora le grandi feste di Villa Igea. Credo che oggi, nonostante la massima professionalità, è impossibile ritrovare quello stile e quel gusto’’. Conserva ancora una foto ingiallita dal tempo con l’immagine di un uomo in tuta: Campari; che dedicò qualche riga al ”piccolo Antonio”.
Il ”piccolo Antonio” che andava ai pic-nic insieme a Tazio Nuvolari, Achille Varzi, Luison Chiron, e altri campioni del volante.
La prima gara
Nel settembre del 1947 Antonio Pucci disputa la “Catania-Etna” che segnò la ripresa dell’attività agonistica dopo la guerra: pilota una Fiat 1100 sport classificandosi al terzo posto di classe e quinto assoluto nella gara vinta dal napoletano Rocco con un 2800 Alfa biturbo. Alle sue spalle arriva il barone Cherubini, un calabrese; dietro di lui altri sessanta concorrenti. Ha 24 anni ma sa che, dopo quella esperienza, non avrebbe fatto il professionista, per amore delle proprie tradizioni e della propria terra dalla quale in caso contrario si sarebbe dovuto staccare.
I ribelli
Avevano voglia di correre i giovani uomini che si erano formati alla corte di Florio e quando l’ostracismo delle autorità sportive mette in crisi l’attività, con tanto coraggio formano la CSAS (Commissione Sportiva Automobilistica Siciliana); per Antonio, che ha accanto in questa nuova avventura ed in questo atto di coraggio, i soliti amici, non è difficile fare il “rivoluzionario”. Gli piace rammentare che Colajanni e l’onorevole Alessi gli hanno insegnato tanto e da loro ha fatto proprio la pura dottrina socialista che ispira le sue scelte di vita.
“Gli Automobile Club ci mettevano i bastoni fra le ruote, volevano crearsi una poltrona, ieri come oggi. Lo sport passava in secondo piano: non lo amano e non lo amavano. Trabia presiede la CSAS, Florio non ne fece mai parte ma era componente la Commissione Sportiva internazionale e credo anche presidente della ASAI, solo perchè non avvertì l’esigenza, pure se non negò il suo appoggio a questi quattro ragazzi ai quali, però, è giusto dirlo oggi, bisogna dire grazie se vivono le corse. E se qualcuno può mi smentisca pure. Fui io a convincere mio nonno affinché aiutasse Mingrino nella creazione dell’Autodromo di Pergusa, e poi i presidenti della Regione come Giuseppe Alessi e Restivo, ci misero in condizioni con finanziamenti di proseguire e sviluppare l’attività”.
I pionieri
“Erano tempi della Pirato-Enna voluta da Stefano La Molta che da Nicosia andava al consorzio Agrario di Enna; dell’impegno di Nicola Musumeci per la”Coppa Galatea” che si correva sulle strade asfaltate della sua proprietà ad Acireale; inventammo la “Coppa dei Templi“, la “Monte Iblei“, la “12 Ore Notturna di Siracusa” in occasione di un Gran Premio di Formula 1 insieme a Nino Farina, Alberto Ascari, Gigi Villoresi, Principe Bira, dopo che andammo in giro nottetempo a Siracusa e all’autodromo incontrammo, l’organizzatore Buttafuoco, uomo validissimo, propose di fare una corsa per vetture turismo gran turismo.
A Messina si torna a correre la “Colle San Rizzo“, la “12 Ore‘’ tutto voluto dalla nostra passione e agevolato dal tempo e dalle possibilità economiche che non ci mancavano. Ieri facemmo tutto ciò, poco tempo dopo che i rally sono state nostre creature: ripeto di me, di Giacomo Sansone, diVicio Aquila. In tutta la Sicilia abbiamo fatto storia e scuola”.
Antonio Pucci oggi
Affermazioni severe che non saranno scevre da critiche; in stile con il personaggio che non usa mezze frasi ma dice esattamente ciò che pensa. Proprio perciò spesso è stato considerato scomodo e mai è sembrato bramoso di poltrone che, comunque, gli sarebbero scottate sotto per la decisione con la quale siamo immaginare avrebbe operato. Ma tutto ciò forse, non gli ha attirato simpatie.
Anche perchè da lui si “pretendeva” una presenza più definita nel mondo dell’automobilismo sportivo. Che Pucci però contesta se fatta solo di giacche blue, vernissage, e tante parole. Non ama gli “arrampicatori” tant’è che si dimetterà dall’Automobile Club Palermo dopo la prossima edizione della Targa perchè non condivide alcune scelte su uomini esterni. L’incontro in seno al gruppo giudici di gara lo ha lasciato da un pezzo contestando e non in silenzio. Per lui, educato con lo spirito sportivo di Florio le corse sono solo passione.
La stessa che lo rese ebbro di gioia quando nel ’51 vinse la sua prima corsa, la “Coppa Nissena“, onorando anche la memoria del padre, Giulio, che la salita di casa se l’era aggiudicata nel’ 22. Quella vittoria venne dopo innumerevole serie di primati di classe. Naturalmente nel suo cuore c’è il successo “Targa Florio”, quella del 1964, vinta in coppia con Colin Davis al volante della Porsche.
La “Targa” del cuore
“Zio Antonio” ricorda come ieri quella domenica del maggio 1964: “La vittoria della Targa mi sembrava dovuta; già in edizioni precedenti mi era sfuggita per un soffio e quindi quando a sei giri dalla conclusione io e Colin ci ritrovammo comodamente in testa pensavamo già di avercela fatta.
Come sono stati lunghi gli ultimi 72 chilometri, impiegai 44 minuti in mezzo a tanta folla plaudente: ho sempre apprezzato mag-giormente la tecnica nelle automobili e pertanto sapevo perfettamente che cedendo anche il più piccolo particolare avrebbe potuto vanificare tutto. Scorgere la familiare sagoma di Floriopoli è stato quasi come una liberazione. Poi ricordo solo tanta festa e mi è rimasto impresso un particolare: trascorse circa un ‘ora prima che potessi abbracciarmi con Von Hanstein, il Direttore Sportivo”.
Lui e Ferrari
Pucci ha corso contro i fratelli Rodriguez, a fianco di Linge, con la squadra ufficiale Lancia grazie all’interessamento del Conte Federico e del Comandante Albanese, ai tempi concessionari a Palermo (era il ’53): era suo compagno con la squadra torinese Maglioli che vinse a Monte Pellegrino stabilendo il record.
Poi lo stesso Pucci riuscì a migliorarlo nel 1955. Maserati e Ferrari, furono le Case che per più tempo attirarono la sua attenzione; nel ’55 ha una vettura ufficiale della squadra Ferrari e ritrova in veste di “capo” il Commendatore che in casa Pucci era stato una presenza abituale ogni qualvolta era venuto in Sicilia insieme a Pintocuda oggi scomparso. Più che di Enzo Ferrari e del suo mito, Antonio Pucci divenne amico del figlio, il quasi coetaneo Dino conosciuto a Modena nel ’53.
Lo ricorda come un grosso tecnico che possedeva una 600 che viaggiava come una Ferrari e pilotava con grande maestria. Ma Pucci non chiese mai nulla di più…
Il “contatto” Porsche
Nel 1958 Piero Taruffi a Roma consiglia il giovane siciliano Pucci a Von Hanstein della Porsche che andava alla Targa e cercava due uomini per due vetture diverse (l’altro eraGiorgio Scarlatti). Seguiranno tre titoli europei gran turismo della squadra Porsche di cui faceva parte (dal ’59 al ’61).
Quello che Antonio Pucci chiama il “gioco” con la Porsche, lo seguirà sino alla fine della sua carriera di pilota e proseguirà ancora per qualche anno nella veste di collaudatore per la prestigiosa Casa tedesca pilotando le più sofisticate automobili prodotte a Stoccarda. Pilota ufficiale Porsche; pagato e riverito. Roba da far impazzire di gioia un giovane dei giorni nostri. Erano altri periodi in cui Pucci, Linge.
Strelhe, dividono i premi, vinceva comunque e sempre la squadra. Era costretto a ritirarsi spesso lo scuro”contadino” di Sicilia in circuiti sperduti in Europa. Le automobili che pilotava, infatti, non dovevano tagliare il traguardo perchè non bisognava far vedere agli altri le innovazioni e le sperimentazioni saggiate.
Torna ancora indietro con il pensiero. E’ la “Targa” del ’62 con la RSK 1600 opposta alla GTO Ferrari e Pucci si toglie Scarlatti dalle spalle ritardando una staccata su un dosso nella discesa diCampofelice. Tanto fu sufficiente per vedere la rossa vettura di Maranello fermare la sua corsa contro un parapetto dove era scivolato “ingannato” dall’esperto Antonio.
Il personaggio Antonio Pucci
A volte, qualcuno, interpretando alla perfezione uno dei nostri principali difetti di siciliani di sottovalutare cioè tutto ciò che appartiene alla nostra terra e i personaggi stessi, finge noia ai racconti di Zio Antonio. Probabilmente neppure possono credere che la vita sportiva di “questo vecchio” come ha iniziato a definirsi prima ancora che i suoi capelli si imbiancassero, coincide con la storia dell’automobilismo sportivo siciliano.
Eppure quando si incontra con i compagni di allora, come Romolo Tavoni, i ricordi si intrecciano, le date coincidono. I presenti restano quasi incantati ad ascoltarli; ridono al gestuale di Pucci; ne amano l’atteggiamento e le inflessioni; invidiano questo pezzo di Sicilia. E noi dobbiamo essere orgogliosi di conoscerlo ed apprezzare la malinconia con la quale si stacca ogni giorno di più dall’ambiente che, nonostante delusioni sul piano umano e sconfortato da beghe, lotte, e dalla mancanza di uomini nuovi che mostrino di avere polso per governare la situazione, continua ad amare. “Ragazzi state attenti a non distruggere tutto ciò che si è fatto; dite abbiamo fatto e non ho fatto
Lo sport
Lo sport non è fatto di individualismo; i deboli e frustrati cercano realizzazioni in vana piaggeria. Se continuano così questi uomini non asceranno nessuna traccia ne positiva ne negativa. E lo sport andrà avanti per inerzia. Il mio unico rimpianto” . se è così sarà anche e soprattutto il nostro. Chiude con una frase in dialetto madonita: “Megghiu Re nò me pagghiaru ca nuddu a Palermo”. Come dire che mancando un unico ponte di comando c’è spazio per tanti piccoli polverizzanti feudi. Con le conseguenze immaginabili.