MERENDINO Alfonso, la tribù degli “Apache”
Campioni di Ieri - Pubblicato il 24 Febbraio 2020 - 15:03
Tratto da Sicilia Motori – Anno VIII n° 8 (99) – Luglio e Agosto 1989
di Giancarlo Felice – Riproduzione riservata
“Apache” lo identifica da 28 primavere. Un’altra ancora e poi Alfonso Merendino smetterà di “fare concorrenza” a Chicco e Michele che hanno scelto l’attività lavorativa del padre e la passione sportiva del genitore.
Nel mondo vi sono tante dinastie, più o meno note, di sportivi. Nell’automobilismo sembra che l’eredità sia più consistente. Brabham con i suoi tre figli, Andretti oltre a due figli ha contagiato anche un nipote, mentre Nicola Larini ha precedenti illustri nel padre nel nonno. Poi ci sono gli Hunt, i Cheever, gli Unser, gli Stewart.
A Palermo le dinastie non sono molte. Quella di Merendino è la più numerosa. 250 corse tra velocità, salita, pista e rally. Tante esperienze accumulata, un primato difficilmente raggiungibile, cioè 24 partecipazioni alla Targa Florio (tra velocità e rally), un successo assoluto in Targa (1977) assieme a Raffaele Restivo, l’ultimo anno della vecchia formula. Scelse lo pseudonimo “Apache” perché era una tribù indiana di veri guerrieri.
Mitici personaggi che portavano l’attacco agli yakee calcolando i rischi. Un po’ quella che sarebbe poi stata la tua tattica di gara, caratteristica che possiede uno dei figli.
“E’ inutile dire – afferma il “capotribù” – che vivo per le macchine e vivo con le macchine. Il rapporto è quasi viscerale. Sin da piccolo mi piacevano i motori, a 19 anni ho debuttato nel mondo delle corse ed ho intrapreso un lavoro (è titolare di alcune concessionarie di auto estere.ndr) nel quale mi sono e mi sento realizzato”. Poi i figli sono cresciuti ed anche a loro è venuta la voglia di indossare tuta e casco.
Che consigli gli hai fornito? “Ho detto loro tre cose. Prima lo studio, al termine del quale vi è il lavoro. In terza battuta sedersi al volante. Dato che considero lo sport automobilistico una scuola di vita, ho preteso che “Chicco” e Michele corressero nei luoghi adatti, anziché “folleggiare” in autostrada”.
Francesco Paolo (detto “Chicco”) è il primogenito: diciannovenne e al secondo anno di economia e commercio. Mentre Michele, un anno più piccolo, è matricola a giurisprudenza. Dei due quest’ultimo trascorre più ore nell’azienda di famiglia. Hanno iniziato a correre in kart la scorsa stagione, forse un pò “anziani” per questa specialità. E’ stato, comunque, un anno propedeutico nel corso del quale hanno vinto qualche gara tra 100 nazionale e 125. Ma il karting, ai due piccoli “Apache”, forse non li ha attratti molti, sicchè quest’anno sono approdati alla monoposto Alfa boxer, dove si acquisisce un grado di professionalità ed è soprattutto una eccellente formula formativa per chi vuole – avendone la stoffa e la possibilità – fare il gran salto.
Ma sentiamo Alfonso Merendino. Lei pilota, i suoi figli sulla stessa strada. Due epoche a confronto.
“Avendo vissuto entrambe le epoche posso affermare senza tema di smentita che oggi tutto è più facile per chi si avvicina all’agonismo. Le vetture sono più professionali e più facili da mettere a punto, ma alla migliore qualità tecnica non corrisponde quell’apprendistato che noi abbiamo fatto, cioè la strada che ti insegnava veramente a guidare. Ora i piloti sono più pistaioli, capaci di risolvere meno della metà i problemi dei problemi che ci si presentavano. E dovevamo risolverli in corsa”.
Chicco gli fa eco. “Effettivamente oggi il pilota è costruito. Non c’è più l’improvvisazione di una volta. Io e Michele prima abbiamo fatto karting, ora siamo passati alla pista e proseguiremo con una certa programmazione”.
Giunge l’ora dei giudizi. Dall’altro dei suoi 28 anni da pilota “Apache” giudica “Chicco” e Michele. “Il primo – sostiene – è molto freddo, per cui ragiona meglio per evitare potenziali errori. Mentre Michele viene giudicato impetuoso, per cui deve raffreddarsi”.
Sono giudizi che i figli accettano e condividono, ma ora sono chiamati loro a giudicati pregi e difetti sportivi del padre. E cosa ha trasmesso loro. Chicco: “Ho imparato e sto imparando guidandolo alla guida, in pratica ho avuto la fortuna di avere una scuola privata. E una miniera d’esperienza. Il difetto? Ormai gli “scoccia” allenarsi, provare. In pratica mettere da parte il lato faticoso. Lui, però, può permetterselo”.
Michele: “Concordo sull’ultima parte della risposta di mio fratello. Papà ha l’entusiasmo agli sgoccioli, tanto che il prossimo anno sembra che non voglia più gareggiare. Da lui vorrei l’ordine, il ragionamento, la professionalità”.
Il padre che corre, il padre che vende auto, ciò significa che vivere nel mondo dell’automobile vi ha spianato la strada in tutti i sensi? “E’ innegabile – affermano i fratelli – ma non è tutto gratis. Correre dobbiamo guadagnarcelo studiando e bene. Conoscere chi già può aiutarci è un vantaggio, ma a noi tocca non deludere”.
Quali sono i vostri traguardi sportivi? “In Formula Alfa boxer vorremmo ottenere dei buoni risultati – sostiene “Chicco” – ma non bruciare le tappe. Apprendendo i segreti potremo tra qualche tempo assaggiare l’emozione della F3”. Aggiunge Michele: “Siamo coscienti di avere scelto una strada non semplice. La Sicilia è una delle regioni con il più alto numero stagionale di gare tra le varie specialità. Sicché ci saranno decine e decine di vincitori dell’assoluta e centinaia di vincitori della categoria. Affermarsi, quindi, è più facile rispetto a chi riesce a portare a casa una coppa in una gara dell’Alfa boxer, un campionato con dieci gare. Poi chi vince questa formula, l’anno dopo è quasi certo della partecipazione in Formula 3”.
Alfonso Merendino e il primogenito, nell’88 hanno gareggiato insieme nella Targa Florio autostoriche, corsa che il “capo tribù” ha vinto nel 1986 in coppia con Giorgio Schoun. Sull’ultima partecipazione è interessante riportare uno scambio frequente di battute tra pilota e navigatore, cioè tra padre e figlio. Soprattutto nel corso della speciale “Collesano – Lascari”, prova molto veloce e con diverse discese. “Chicco stringi le cinture di sicurezza”, diceva il papà leggermente preoccupato. “Papà vai più forte”, ribatteva il figlio per spronarlo.
E la signora Merendino? Tre piloti in famiglia, tre preoccupazioni in più. Il consorte e gran capo sintetizza: “Poverina, ha perso la battaglia”. I figli: “Ci dice sempre di andare adagio”. Tutti e tre saranno di scena ad ottobre nella “Ronde del Mediterraneo”, dove l’equipaggio sarà formato da tre piloti. Ognuno dovrà contribuire alla classifica e chissà se gli “Apache” rientreranno con un successo. Un altro problema per i giovani Merendino è la conoscenza dei circuiti. Vivere a Palermo è un onere in più nell’attività agonista. “Gli altri partecipanti al campionato Alfa boxer hanno più possibilità di provare. Per noi è sempre un viaggio. Con gli amici ci si vede pochissimo, sabato e domenica sono cancellati per il divertimento”.
La prima gara di campionato, sul circuito di Magione, per entrambi è andata male. I fratelli Merendino non si sono qualificati per la finale, pagando così lo scotto del debutto. Meglio è andata a Misano, dove Michele si è classificato quindicesimo e “Chicco” al sedicesimo posto. Disputa lo stesso campionato un altro palermitano, Angelo Niceta.
Tra Michele e il padre c’è un episodio di rivalità. E’ accaduto qualche mese fa mentre sul circuito di Magione, “Apache”, provava con la Lucchini SN 88. Il figlio aveva messo KO la propria vettura. “Chiesi a papà di farmi provare con la Lucchini. Ho fatto diversi giri, al termine dei quali giravo 5 decimi in meno di lui. Quando raffrontammo i tempi, papà non disse nulla, ma a Palermo si è confidato con un amico al quale ha affermato di essere piacevolmente sorpreso”.
Michele è figlioccio di Raffaele Restivo, amico e copilota di “Apache”. Con Restivo, Alfonso Merentino ha in programma il 23 luglio di correre in Belgio la 24 Ore di Spa-Francorchamps, uno degli ultimi anni della sua lunga carriera.